(Maurizio Crispi) La foto riportata sopra (che venne fatto attorno a mezzogiorno sulla spiaggia di Mondello Valdesi di Palermo, il 17 ottobre 1978) mostra i miei primordi della corsa, quello che si potrebbe definire il mio ur-running.
Nella foto, ci sono io (alquanto irriconoscibile rispetto ad ora), immortalato nel gesto della corsa, mentre corro sulla spiaggia assieme al mio primo pastore tedesco, una femmina che venne battezzata Petra (un nome che venne fuori, perchè quelli erano gli anni di Petra Klause, ma anche perché scelto da mia madre che, sin da subito, quando portai questa cucciolotta in casa, ebbe come prima reazione quella di considerarla una "pietra" difficile da digerire.
Di fatto, cominciai a correre sistematicamente da quando ebbi Petra, ma solo dopo che completò la sua crescita.
Uscivo regolarmente ogni mattina, ma - a volte - con il mio stakanovismo (quello che scatta quando comincio ad applicarmi ad una cosa, tipo che nella fase in cui andavo spesso a lavorare in campagna, dovevano essere almeno otto o nove le ore di lavoro duro, perché io mi sentissi soddisfatto) anche di pomeriggio o in seconda mattinata.
Del resto, in quel periodo, avevo anche un sacco di tempo libero, perché avevo appena finito il mio servizio militare e ancora non lavoravo regolarmente.
Il mio posto preferito dove andare a fare le mie sgambate era Mondello, dove correvo regolarmente a piedi scalzi, sia sulla spiaggia, sia sul vialetto sterrato che si stende parallelo alla sabbia.
Non più oberato dai vincoli militari, avevo dato libero corso alla crescita di barba e capelli: la barba, in particolare, la feci allungare a dismisura, quasi avessi fatto un voto di non tagliarla mai oppure sostenuto dal retro-pensiero (un po' magico) al quale indulgevo nelle mie segrete fantasie che questa barba dalla crescita incolta fosse come i capelli di Sansone e che, qualora l'avessi tagliata, avrei immediatamente perso le mie forze.
Perché correvo a piedi nudi?
Immagino che vorrete saperlo.
Di sicuro, per diverse ragioni...
La prima era che mi piaceva sentire il contatto dei piedi scalzi sul terreno e avevo la sensazione che questo contatto mi desse vigore ed energia (e, oltretutto, mi sentivo più leggero)...
La seconda era che, allora, il mio principio fondamentale era che occorresse temprarsi a qualsiasi cosa: una cosa che nasceva da lontano, quando da bambino esponevo un dito alla fiamma viva per vedere quando avrei resistito al dolore (ben poco, direi: ma almeno potevo dire di averci provato), oppure quando - per lo stesso motivo - mi sottoponevo a piccole torture, per incrementare la mia resistenza (e tenete conto che la mia fantasia era infiammata dalle letture dei romanzi di Emilio Salgari, dove l'eroe di turno resisteva sempre - indomito - ai disagi e alle sofferenze che gli venivano inflitti).
Poi, perché uno dei miei miti cinematografici di quegli anni era diventato il film "Un uomo chiamato cavallo" (uscito proprio in quegli anni), in cui il protagonista deve fuggire completamente nudo e a piedi scalzi dai Pellerossa che lo hanno catturato e che, dopo aver pensato di lui che fosse uno smidollato, devono ricredersi per l'incredibile resistenza che mostra di possedere e lo accettano tra loro, ma sottoponendolo a tutta una serie di riti iniziatici.
Ma devo anche dire che già allora ero preso dal mito di Maratona e, mentre correvo a piedi scalzi, rimbalzavano nella mie mente, le immagini di un altro film-icona che erano quelle de "Il maratoneta" in cui era riportato il mito di Maratona e della corsa di Abebe Bikila a piedi scalzi alla Maratona di Roma Olimpica nel 1960) e il cui protagonista (Dustin Hoffmann), aspirante maratoneta che si nutre del mito di Abebe e della sua vittoria, si salva dal sicario che vorrebbe ucciderlo, correndo a piedi scalzi per le vie di Manhattan).
Ed ecco la storia della foto che ha dato spunto a questo racconto.
Era una giornata ottobrina, calda e sciroccosa. Io correvo sulla spiaggia, altri facevano windsurf, altri prendevano il sole o facevano il bagno.
C'er un fotografo che tirava foto, con una buona macchina (Petyx, allora fotografo del Giorrnale L'Ora).
Nel numero de "L'Ora" del pomeriggio venne fuori un servizio su come i Palermitani avevano vissuto quella incredibile giornata di scirocco, servizio ovviamente corredato con foto, tra cui anche la mia, titolata "Lui e il cane".
Passai nei giorni successivi dalla redazione dell'Ora e me ne feci dare una copia...
E questo è quanto...
"Lui e il cane": si pone come un'immagine-mito della mia personale galleria fotografica...
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