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27 ottobre 2012 6 27 /10 /ottobre /2012 14:51

Laura-Ricci_Trail-Monte-Picaru_4h31-_36km_21.10.2012.jpgPer domenica 21 ottobre la Pro Loco Cisano in collaborazione con l'ASD Albenga Runners ha organizzato la 5^ edizione della manifestazione podistica "Trail del Monte Picaru" che si svolta nel territorio di a Cenesi, frazione di Cisano sul Neva (SV). 
La corsa ha avuto una lunghezza di 34 km e 17 km circa con un dislivello positivo rispettivamente di circa 1800/1000 Mt.

La Cursa de Uive, non competitiva, invece si è sviluppata su di una distanza di 6 Km circa, mentre era anche previsto un Baby Trail di 0.600 km. 
Il percorso si sviluppava su strade bianche e sentieri sterrati.
Erano presenti alcuni brevi tratti in asfalto. Un giro unico per tutte le distanze. Potevano scriversi tutti gli atleti che avessero compiuto i 18 anni in possesso di certificato medico sportivo per l'attività agonistica con scadenza non antecedente al 21 10 2012. Sarebbe stato possibile iscriversi sino a 45 minuti prima della partenza.
La gara era valevole come 1° Memorial Roberto Maurizio

Alla gara lunga (il percorso di 34 km) ha partecipato la toscana Laura Ricci (Atletica massa). La sua è stata una partecipazione rilassata: ha portato con sé la macchina fotografica compatta e ha fatto molte foro che raccontano la sua gara vista "dall'interno", foto che sono visionabili sul suo profilo Facebook ed anche nella paina FB "Ultramaratone, maratone e dintorni".

Ciò nondimeno si è classificata seconda tra le donne in 4h31' circa.
Ed ecco di seguito il suo racconto della gara.

 

Laura-Ricci-Picaru_02r.jpg(Laura Ricci) Ore 4.30 domenica 21 ottobre... Come al solito nell'unico giorno di riposo, io come quasi tutti i runner mi sono svegliata all'alba per le mia destinazioni podistica che oggi è il “5° Trail del monte Picaru”, in provincia di Savona, organizzato da Albenga Runners.

La località in cui si svolge (Cisano) dista da casa mia circa 200 km.
Non conosco questo trail, ma è sufficiente che un amico mi dica: “Andiamo??” ed è cosa fatta... Parto immediatamente.

La mia idea era di fare il trail corto (17 km), perché uscendo dal “Trail del tartufo”,  di primo acchitto non mi sentivo di fare 36 km.

Ovviamente, come al solito, quello di cui ha bisogno il mio corpo non rispetta quello che vuole la mia testa: un mio carissimo amico, parlando di me ha detto: "Usi il tuo corpo come fosse una macchina". E credo che abbia ragione.
Quando corro il tempo sembra non esistere.
Corro ore ed ore senza pensare a niente.

Una prima fase, alla partenza è tutta di adrenalinaU un effetto che nonostante le molteplici gare rimane sempre.
Poi si inizia ad apprezzare il bellissimo percorso che non mi delude mai, qualsiasi trail io abbia fatto.

Quindi, inizia la fatica che ti accompagnerà per tutto la durata della gara e, infine, l'arrivo, la meta... E li si chiude tutto, per riaprire un nuovo capitolo appena se ne presenterà l'occasione...

Almeno per me, è una sequenza di emozioni, crescenti e sempre diverse: la stanchezza durante la corsa e, poi, la felicità che la gara sia finita, ma poi subito dopo il ricordo dei posti meravigliosi che ho visto e la gioia di avere raggiunto il mio obbiettivo, ancora una volta con la consapevolezza di aver tenuto duro o, addirittutra di avere passato un mio limite.

Laura Ricci Picaru 03rNei giorni a seguire, queste emozioni sono quelle che mi accompagneranno nella lunga settimana di lavoro,quelle che mi daranno la serenità e la giusta misura di vivere la vita.

Non a caso, volendo parlando del Trail del Monte Picaru, ho deciso di inserire come epigrafe la citazione di Thomas Adams che fa:  "Nessuno arriva in paradiso con gli occhi asciutti"... .

E’ stato un trail molto duro, tra sassi e salite... Ma quando quello che ti aspetta è il paradiso, allora vale la pena di soffrire [per dirla in altro modo, per usare una frase cara ad un mio amico ultrarunner: "No pain, no gain" - ndr].

Infine, devo dire che un bel percorso non basta a fare un trail soddisfacente, perché ci sono anche le persone che incontri a fare la differenza: il calore della gente che ho trovato ad Albenga è stato unico. Ho avuto l'impressione di conoscere tutti, tanto che mi sono chiesta dove avessi già visto molti di loro.
In realtà non sono cosi svampita.

Questa mia impressione, il sentirsi come a casa, si chiama "ospitalità".
 

 

Le foto su Facebook di Laura Ricci (Trail del Monte Picaru - 5^ edizione - Memorial Roberto Maurizio)

 

 

L'articolo sulla 5^ edizione del Trail del Monte Picaru nel sito dell'ASD Albenga Runners

 

 

Le classifiche

 

Trail Monte Picaru km 34 - classifica

Trail Monte Picaru km 17 - classifica

Corsa delle Castagne km. 5 - classifica

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23 ottobre 2012 2 23 /10 /ottobre /2012 12:02

Laura-Ricci_Trail-del-Tartufo.jpgLaura Ricci (Atletica Massa) ha preso parte il 14 ottobre alla 5^ edizione del "Tartufo Trail Running", svoltosi a Calestano (in provincia di Parma). Tra le due distanze su cui si articolava la manifestazione (28 e 50 km), Laura ha optato per la distanza lunga che ha coperto (50 km) in 7 ore (7h26'), lungo sentieri pieni di fango a causa delle recenti piogge: non possiamo che rivolgerle i nostri complimenti per la sua determinazione che l'ha condotta - tra l'altro - a classificarsi 50^ assoluta (8^ delle donne) e quarta di categoria.
Purtroppo la gara breve è stata funestata da uno di quegli eventi che si vorrebbe non accadesse mai nel corso di una manifestazione sportiva. Un runner, colto da malore, è deceduto, malgrado il pronto intervento per i primi soccorsi.
E' stato un evento che ha gettato una piccola (grande) ombra sulla prestazione di tutti gli atleti e che ha attutito, ovviamente, la loro gioia e le loro emozioni positive del momento.
Ma le corse - e soprattutto quelle lunghe - sono come la vita e, come accade nella vita, possono essere punteggiate di eventi lieti e tristi. Non si può immaginare uno sport di endurance che sia un'oasi felice, avulsa del tutto dai drammi della vita quotidiana.
Quindi, come si accettano la gioia spensierata e la felicità che la pratica del running possono regalarci, bisogna accettare con tristezza e compunzione quegli eventi tristi che anche nel corso di una manifestazione agonistica possono manifestarsi.
D'altra parte, c'è anche da dire - ed è quello che traspare dal racconto di Laura Ricci - c'è - che il running ci cambia la vita, la mette in forma, ci obbliga ad acquisire nuove abiturdine, ci mette alla prova imponendoci il confronto con nuove avventure e nuove sfide - piccole, ma grandi. E nel racconto di Laura Ricci, e nella sua filigrana, c'è tutto questo.
 

(Laura Ricci) Di solito vado alle gare con qualcuno del mio gruppo, ma il mio avvicinarmi alla corsa in montagna mi sta allontanando dal mio bellissimo gruppo, che invece preferisce la strada.

Non per questo mi sono fermata ed ho deciso comunque di andare da sola al Tartufo Trail Running [che però, per semplicità chiamerò Trail del Tartufo] che si sarebbe svolto in una località a circa 100 km da casa mia.

Apro una breve parentesi. Io non viaggio mai da sola e spesso, guidando, mi perdo anche nella mia città, Ho deciso comunque di fare questo piccolo - grandissimo - spostamento pur da sola, per arrivare in un posto dove mi aspettava una corsa di 50 chilometri che si sarebbe rivelata anche molto faticosa.

Laura Ricci Tartufo Trail Running 2012Sono partita il sabato per provare anche l'esperienza di dormire in palestra (nei trail spesso la città che ospita mette a disposizione dei luoghi per poter dormire, avendo il sacco a pelo a con sé).

Sono arrivata a destinazione alle 15.00 circa e un mio amico Marco Melchiorri, ultramaratoneta conosciuto all'Abbots’ Way, mi viene incontro a Fornovo e mi farà compagnia nei due giorni a seguire. Lui è lì, perché è la sua società ad organizzare il trail e starà a lui fare la “scopa” della 28 km.

Si troverà in una situazione molto difficile di cui io non voglio parlare qui, se non per dire che sono rimasta colpita profondamente colpita dal triste evento [Laura si riferisce all’improvviso malore di uno dei runner, impegnato nella gara corta e deceduto poco dopo, malgrado i primi soccorsi prontamente ricevuti - ndr].

Il programma di sabato prevedeva un briefing e si è iniziato cosi ad entrare in una bellissima atmosfera. Ho continuato la serata a cena con amici e, per finire, a dormire in una condizione non comodissima ma divertente.

Quando Io e Marco arriviamo nel dormitorio che è stato allestito per i runner le luci sono già spente ed io mi trovo a dover trattenere le risate per non disturbare gli altri che dormivano:  ma era veramente una situazione comica, al buio ho cercato di sistemarmi brandina e sacco a pelo, zaino e tutte le mie cose.

La mattina dopo sveglia alle 6.30 e, finalmente, inizio a vedere le facce dei miei colleghi runner. 

È bellissimo!  

Ci siamo presentati, abbiamo scattato qualche foto, ci siamo dati una sistemata e via alla partenza.

Adoro queste momenti che pure fanno parte della corsa.

Il Trail del Tartufo sarà più duro di quello che credevo: il fango, la salita e i chilometri (50!).

Al 20° km si poteva decidere estemporaneamente se fare la 28 o la 50 km: io avrei tanto voluto ritirarmi.

Ma mentre ero ferma al ristoro e decidevo cosa fare, ecco che arriva il mio carissimo amico Giulio Bottone, anche lui come Melchiorre grande ultramaratoneta: sarà lui a darmi lo stimolo per fare la 50 km e sempre lui mi condurrà quasi alla fine della gara e mi farà tenere un passo adatto al chilometraggio che ci aspettava, dandomi suggerimenti per tutto il percorso.

E’ stato un grande e lo ringrazio. Sono sicura che, se avessi fatto la 28 km, avrei avuto il rimorso fino al prossimo anno.

Sono uscita da questo gara distrutta, ma - come sempre - felice e soddisfatta.

Il percorso meritava la fatica che ho fatto; l'organizzazione era ottima e le persone - come sempre nei trail - molto ospitali.


Alla fine, una doccia, il pranzo, qualche chiacchiera a tavola e comincio a pensare, con una certa preoccupazione: “... devo tornare a casa, ho le gambe di marmo e devo anche guidare”.

 

Tirando un bilancio finale, posso dire che sono uscita da questa avventura fiera di me stessa: ho superato i miei piccoli limiti e sono tornata a casa sana e salva; ho fatto 50 km e avrei tanto voluto ritirarmi, ho avuto anche una buona posizione in classifica...

Direi che, per questa volta, mi posso accontentare.

 

 

Le foto che corredano il racconto provengono dal profilo Facebook di Laura Ricci.

 

 

 

 

Vai alle classifiche sul sito della gara


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16 ottobre 2012 2 16 /10 /ottobre /2012 12:10

etna-sky-race-04.jpgIl 30 setttembre 2012, Elena Cifali (ASD Movimento é Vita Gela) ha partecipato alla 2^ edizione dell'Etna Sky Race 2012.
Anche questa volta ha scritto un racconto relativamente alla sua esperienza, ma tiene a precisare che "...non è un vero racconto, più che altro una riflessione. Non ho avuto voglia di scrivere altro...":
Elena ha attraversato un periodo pieno di impegni familiari che l'hanno portata a dovere assolvere incombenze di vario genere e l'hanno distolta dal potersi applicare (sia fisicamente, ma soprattutto a mente libera) nell'attività che preferisce sopra ogni altra e che é la "CORSA".
Nella vita di tutti noi capitano dei momenti così, dei momenti in cui possiamo avere la sensazioni di essere oberati, schiacciati dai tempi stretti e frenetici o dagli obblighi che si affastellano nelle nostre vite.
Poi questi periodi passano, come le nubi che si addensano nel cielo che si disperdono sospinte dal vento e ritorna il sereno: quel sereno che ci dà la ricarica per affrontare altri momenti di nubi ed altre piccole (o grandi) tempeste.
La nostra Elena si preoccupa che il suo racconto, proprio perchè in forma di riflessione in cui convergono i problemi e le difficoltà quotidiani, possa non piacere: invece, io penso che sarà apprezzato.
Quante volte ad ognuno di noi è capitato di pensare ai propri problemi nel corso di una gara o di un allenamento? La risposta è semplice: sicuramente, tantissime volte.
Ed è anche vero che il pensare alle difficoltà quotidiane mentre si corre oppure, dopo, a cose fatte scriverne, riflettendo a come si intersecano con il nostro correre, è un'attivita che consente di prendere le distanze da ciò che ci assilla, dandoci anche l'opportunità di compiere - nello stesso tempo - un importante lavoro di rielaborazione (e forse anche utile per la messa a punto di possibili soluzioni).
Correre condensa in pochi atttimi la nostra vita, ma nello stesso in alcuni momenti della nostra corsa, ci ritrovaimo immessi con facilità in una dimensione onirica che è quella più fruttuosa ai fini delle nostre trasformazioni interiori, della sollecitazione della Memoria e anche dei processi di apprendimento.
Per questo motivo, il momento dell'allenamento e, ancora di più, quello della gara, ci consentono di fare dei bilanci, di sperimentare emozioni, di focalizzare affetti e priorità.
etna sky race 01Tutto questo traspare dal racconto-riflessione di Elena Cifali, in cui da immagini puramente oniriche e quasi poetiche ritorno ai bilanci e alle riflessioni su ciò che la corsa le ha dato e sicuramente le darrà anche negli annii futuri.

(Elena Cifali) Da qui sopra, posso abbracciare il cielo e stringere le nuvole fra le mani, da qui sopra sono padrona del mondo e il mio sguardo si estende oltre l’universo.
Da qui sopra mi è più semplice parlare col mio Dio, raccontargli della felicità che provo a trovarmi a quasi 3000 metri in cima al vulcano attivo più alto d’Europa.
Da qui sopra l’Etna non sembra così imponente come quando lo guardo da casa: l’ho scalato ancora una volta e, ancora una volta, io e lui ci siamo raccontati l’una dell’altro.
E’ l’Etna che raccoglie oggi le fatiche, i sacrifici, le trepidazioni ed il sudore di ben 50 runner. Ognuno di noi vive questa passione a suo modo: é una passione che ci permette di affrontare e vincere sfide che parleranno di noi, anche oltre noi.
Proprio qui sopra l’ho incontrata, l’ho riconosciuta: era bellissima, dolce come una poesia, leggera come una discesa, felice come un bimbo il giorno del suo compleanno, sorridente come una sposa sull’altare, piena di entusiasmo come un runner sulla linea di partenza.
Era nera come la lava, azzurra come il cielo, calda come il sole, ripida come una salita e mi parlava di avventure future ed incontri inattesi, di giorni lieti e di persone speciali: era la VITA.
Io, Salvo Crudo ed il buon Davide Pagnossin (i miei angeli custodi durante i duri allenamenti che mi hanno permesso la conquista di Sua Maesta), abbiamo partecipato alla 2^ edizione della Etna Skyrace, portando a termine la nostra gara affrontando le nostre ansie e vincendo le nostre paure.
etna sky race 03Sono felice di poter dire ancora una volta IO C’ERO e sono sicura che anche i miei amici condivideranno le mie emozioni ed i miei sentimenti.
Durante il cammino della nostra vita incontriamo moltissime persone, alcune di loro non le ricordiamo già dopo i primi cinque minuti, altre le ricorderemo per sempre.
Non importa quanti anni trascorreranno: il ricordo di un giorno speciale come quello di oggi rimarrà indelebile nelle nostre menti per sempre, come rimarrà indelebile il ricordo del “batti cinque” con mio figlio, dell’"In bocca al lupo" detto da mio marito, di quei chilometri corsi con Davide e del lungo abbraccio con Salvo, dopo il mio arrivo.
La corsa mi ha dato l’opportunità di conoscere persone meravigliose come Inge Hack: é una donna strepitosa (una donna con le "palle quadrate", oserei dire) che ha iniziato a correre all’età di 48 anni e, oggi dopo 10 anni, corre gare come la100 km del Passatore, divorando km con assoluta leggerezza. Uomini come Pietro Bernando che affronta gare come il Tor Des Geant col sorriso in bocca e con un’entusiasmo coinvolgente, o come Claudio Chines che ha iniziato a correre “solo per perdere peso” e che oggi è in continua sfida col cronometro e con se stesso. Uomini come Vincenzo Altamura, Luigi Buccello, Alfonso Sciarratta, Salvo Piccione, Carmelo Santoro, Melchiorre Bernardone, Orazio Scivolone, Salvo Campanella, Gioacchino Maniscalco, Nino Simonte, Mimmo Causarano e Elio Sortino; donne come Tatiana Betta, Graziella Bonanno, Concetta Filizzolo e Teresa Ferro solo per fare alcuni nomi; senza dimenticare il mitico Stefano Marta che ha collaborato alla realizzazione di questa gara e che, giorno dopo giorno, si adopera per la buona riuscita di molte altre in giro per l’Italia.
Certamente non sono i soli, perché insieme a loro ci sono tanti altri che hanno il coraggio e la determinazione per correre col sole caldo dell’estate e con il gelo dell’inverno.
etna sky race 05A tutti va il mio grazie ed il mio pensiero ogni volta che taglio la linea del traguardo perché so che almeno uno di loro si avvicinerà per dire ancora una volta: Grande SuperElena.
Tra tutti la persona che mi sta più a cuore e che amo come un padre è Maurizio Crispi che attende con infinita pazienza ogni mio racconto ed ogni mio aneddoto di corsa.
Stavolta non è un racconto ma un riflessione - sicura che piacerà allo stesso modo.
Grazie a tutti ed alla prossima!

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5 ottobre 2012 5 05 /10 /ottobre /2012 23:52

laura-Ricci_Passatore.jpgLa toscana Laura Ricci (ASD Atletica Massa Carrara) ama correre tanto per la gioia in sè della corsa ("Io non mi fermo mai e sono felice!").
Nel corso degli anni ha progressivamente aumentato le distanze, sia nell'ambito del trail e della corsa in montagna, sia nelle corse su strada.
E' stato così che nel 2012 ha partecipato - in un Twin Team misto - all'Abbots' Way, vincendo e, dopo un mese circa, alla sua prima 100 km del Passatore con un tempo finale inaspettamente buono (10h08').
Nello scritto che segue Laura Rici si presenta, ci racconta chi è, da dove viene, da dove si origina la sua passione per la corsa e su quali sogni si alimenta.
Il suo sogno definitivo? Correre un'ultramaratona nel deserto.

Saremo lieti di ospitare altri scritti di Laura Ricci su questa pagina web.
(Laura Ricci) Mi chiamo Laura Ricci, ho 43 anni, abito a Massa, in provincia di Massa-Carrara e corro da quando ho avuto la possibilità di andare in strada da sola, ho sempre amato lo sport e in particolare correre.
Negli anni, lo sport è diventato il mio abito, il mio vestito, la mia seconda pelle.

Non ho mai fatto sport agonistico, perché la mia famiglia aveva bisogno di soldi e quindi ho iniziato a lavorare molto presto, non avevo tempo da dedicare alla corsa (se non quello che mi ritagliavo giorno per giorno), ma già allora - in gioventù - avevo compreso la mia predisposizione per il running.

Ho continuato il mio "percorso" come atleta (anche se non non mi ritengo un "atleta" nel senso canonico del termine, ma per capirci meglio userò questo termine) e da adolescente lo sport è stata una delle mie ancore di salvezza. I problemi tipici di quell'età con il cibo, con il rapporto con il mio corpo, anche se di lieve entità, li ho superati con l'amore per la corsa: se non mangi non ce la fai a correre…

Correre, quindi, è sempre stato per me lo strumento per star bene con me stessa.

Mi sono fidanzata prestissimo, a 17 anni, e continuando sempre a correre sono arrivata all'età di 31 anni. Poi  è venuta la scelta di avere un figlio (Federico) e ho corso fino al 4 mese avanzato di gravidanza.
Dopo mi vergognavo della gente che mi vedeva e, quindi, ho comprato un tapis roulant e ho continuato moderatamente in casa.
Ma in quel periodo ho preferito la piscina e prevalentemente nuotavo.
Il tapis roulant mi sarebbe servito comunque nei primi mesi di vita del bimbo per non lasciarlo. Correvo mentre dormiva (ripresi a correre quasi subito) e così la mia vita scorreva.
Laura Ricci 02Rimasi incinta della mia seconda figlia (Martina): stessa identica storia, con l'aggiunta della difficoltà di avere due figli, un lavoro, un marito e un hobby cosi importante per me da non volerci rinunciare.
E ho continuato a correre.

Nel frattempo, sono iniziati i problemi con il mio attuale ex-marito e, sempre in questo periodo, ho iniziato a partecipare alle mie prime gare locali (“Corrilunigiana”). Furono gare brevi di 10-15 km massimo, quasi tutte ambientate in montagna, con percorsi bellissimi nei boschi, ma anche nei paesini della Lunigiana, in un territorio stupendo ricco di storia e di tradizioni, sempre in provincia di Massa-Carrara.

Il mio matrimonio sembrava non avere ripresa e io scaricavo tutto nella corsa che ancora una volta è il mio rifugio e il mio unico aiuto.

Nel 2008, è finito il mio matrimonio e, da allora, ho preso a correre quanto e come mi piace, non ho progetti o programmi di corsa ma solo la passione per la corsa e per le persone che mi circondano, che ormai sono quasi esclusivamente runner...

Il “Corrilunigiana” richiede come tutte le gare un'iscrizione ad una società: la mia diventerà l'Atletica Massa Carrara quella della mia città, dove ho iniziato a frequentare sempre di più il mondo dell'atletica...

Anche Federico,  il mio primo figlio ha iniziato a correre....

Non lascerò mai il mio primo amore il “Corrilunigiana”: sarà una fedeltà destinata a durare nel tempo.

Poi,  o iniziato con le prime mezze maratone su strada: Portofino, Pisa, la “Maratonina dei tre pontili” (Forte dei Marmi ), Torre del Lago (e credo che questa gara sia statain assoluto la mia prima mezza e l'anno scorso ho partecipato con una mia amica vestita da “figlia dei fiori” (novella hippie!) ed abbiamo ragiunto il podio come miglior maschera, ma la vittoria più grande di quel giorno e di aver corso tutta la gara con i "maratonabili". Ho urlato come una pazza, cantato e non mi ero mai divertita tanto: ne sono uscita senza voce ma con il cuore pieno.

Poi, ancora mezze maratone a Scandicci e i miei primi 30 km a Parma con la 30 km della Duchessa che ho portato a termine in circa 2h30' per poi preparare la mia prima maratona a Roma nel 2011 che ho finito in 3h40' circa (non ricordo bene i tempi perché per me la prestazione cronometrica non è fondamentale, anche se non nascondo che mi piace arrivare bene) e molte altre...

Laura Ricci 06Il mio miglior tempo nella mezza maratona l'ho fatto a Portofino a marzo 2012, con 1h37': percorso non da tempo, ma la mia forma era in crescita grazie anche al fatto di aver conosciuto una parte fondamentale del mio percorso.

Il mio coach attuale è Paolo Barghini, ultramaratoneta pluridecorato.
In realtà, lui non è il mio coach ma il mio sogno!

Ci siamo conosciuti l'anno scorso. Mi ero fatta male ad una caviglia e, tra una gara in strada e l'altra, non avevo mai dimenticato la mia passione per il trail e alternavo mezze su strada e trail.
Il più famoso trail al quale ho partecipato è quello di Portofino dove mi sono sempre classificata tra le prime tre di categoria nel 2010 e terza di categoria nel 2011 (i risultati sarebbero da controllare ma, se non sbaglio, sono questi).

Mi sono rivolta a paolo Barghini ed ho iniziato il mio rapporto atletico con lui, perché volevo partecipare al Trail del Golfo di La Spezia e la mia caviglia “traumatizzata”,  mi aveva obbligato a stare ferma. Speravo lui mi desse qualche consiglio per recuperare in fretta per avere cosi la possibilità di fare questo bellissimo trail vicino a casa mia.

Paolo ed io siamo subito entrati in sintonia: il mio trail quell'anno non l'ho fatto, ma ho avuto l'onore di accompagnare lui e i suoi ragazzi che, di li a poco, avrebbero vinto la Sahara Race, balzando agli onori delle cronache nazionali....

Io e Paolo ancora oggi corriamo insieme. Lui ha rinunciato a farmi una tabella, anche se dice che io potrei fare molto di più se solo ci mettessi la testa. Io amo correre con lui e quest'anno sono andata molto vicina a realizzare quello che è il mio sogno fare un'Ultramaratona nel deserto: per questo dico che lui è il mio sogno, ho avuto la fortuna di conoscerlo e lui crede che io sia in grado di poterla fare; il mio unico problema è economico, per il momento non posso affrontare una spesa tale, ma non ci rinuncio! Per adesso il mio sogno è solo congelato (“nel deserto”)!!

Con Paolo corro di continuo e facciamo molti chilometri. Lui è perennemente in preparazione e io lo seguo: sono sempre pronta adesso per qualsiasi cosa, insieme abbiamo preparato la maratona di Pisa dove ho migliorato il mio tempo a 3h28 poi ancora meglio quella di Milano: qui devo ringraziarlo perché mi ha accompagnato fisicamente e ho raggiunto il mio tempo migliore in maratona che è di 3h24'40.

Tra una corsa e l'altra ho conosciuto Antonio Musetti su FB, amante della corsa in montagna come me ed è iniziata un’altra fantastica amicizia.

Laura Ricci 08Lui mi propone di fare una gara a coppia L'Abbots' Way. E' stato un successo. Il percorso è quello che mi piace di più, i chilometri sono 60 a testa, ma l'euforia e l'adrenalina non mi mancano.

Sono riuscita in questa nuova impresa, anche con l'aiuto di un altro mio carissimo amico Claudio Giannini che ci ha seguito per tutta la gara spostandosi da un punto all'altro (perché noi avevamo scelto di fare 30 io 30 lui, poi di nuovo io e lui, per evitare che io andassi incontro alla notte non essendo abituata)e aiutandoci nell'alimentazione e nell'integrazione tra una tappa e l'altra sempre sotto consiglio di Paolo Barghini che ci seguiva da casa restando in contatto con Claudio.

Claudio mi ha seguito anche nella gara più importante che io abbia fatto fino ad adesso che è la 100 chilometri del Passatore.
Ed ecco come è andata.
Un giorno, per gioco, al campo scuola dove mi alleno con Paolo una sua atleta dice che vuole fare il “Passatore”. Io che, come al solito, non conosco bene le gare, i percorsi, l'altimetria e tutto il resto, credendo che il “Passatore” fosse un trail ho detto: "Ma sì, vengo anch'io!".

Paolo mi guarda e dice: "Ok, facciamo il “Passatore!”.

Tornata a casa chiamo Musetti e gli dico: "Ho deciso di fare il “Passatore”, vieni anche tu?". Lui mi dice: "Ma, Laura, tu il “Passatore? E’ una gara su strada di 100 km!
Io, sul momento, rimango interdetta: su strada? Ormai l'avevo detto e da lì non si torna indietro.
Si sono aggiunti a me altri quattro ragazzi della Free Run (gruppo di amici maratoneti incorporato all'atletica Massa) e ha avuto inizio un periodo bellissimo concentrato tutto sulla nostra impresa. Credo che la parte che mi è piaciuta di più sia stata quella che ha preceduto la gara e la successiva: riunioni, discussioni, preparativi, cosa si mangia durante la corsa, come si integra, come si parte, quale il ritmo, la facciamo insieme o no e tutte quelle cose che ogni runner conosce bene. Era l'avvicinamento alla nostra prima esperienza di 100 km.

Loro, sostenendo che io ero la più preparata, per il fatto che comunque avevo già fatto la 60 km all'Abbots' Way e avevo già corso 50 km più volte in allenamento,hanno deciso che io avrei dovuto correrla da sola. Io avevo pensato di fare i primi 50 km con loro e poi, se ne avevo, di andare. Paolo sosteneva che fino al 70° km avrei dovuto trattenermi per non scoppiare e che la gara "vera" iniziava dal 70° km, ma io - come al solito - alla partenza ho staccato la testa e sono andata... Il crono finale di 10h08' per me è stato un successo inaspettato: sono arrivata 12^ donna assoluta,  nona del Campionato italiano FIDAL 100 km su strada.

Del "Passatore" devo dire che, pur essendo una gara su strada e quindi non delle mie preferite, è unica.

Il panorama che ti offre è bellissimo e sei immerso comunque nella natura: ed è per questo che molte persone che corrono hanno coltivano il sogno di fare questa gara.

Alcuni amici, certe volte, mi fermano ammirati della mia impresa ed è bellissimo.
Io credo di non aver fatto niente di particolare, se non correre per molte ore ma loro vedono oltre...

“Il Passatore” è un sogno!!

Certe persone lo preparano per mesi e alla fine magari rinunciano: io l’ho fatto per gioco e sono felice di averlo finito.

I miei programmi futuri? Correre per divertirmi!

La “Matta corsa” è il mio prossimo impegno di divertimento e per l'amore che ho per la montagna o comunque lo sterrato il "Trail del tartufo”.

Il mio sogno definitivo?  Una qualsiasi ultramaratona del deserto, magari con il mio stimato coach Paolo Barghini!

Concludo dicendo che per una donna correre non è cosi facile come per un uomo e che le donne che riescono meritano la mia stima, noi abbiamo molti più ostacoli ed impegni famigliari e di lavoro di un uomo!

Non solo anche il solo fatto di non poter correre in certi orari o in certi luoghi da sole diventa un problema squisitamente femminile.

In particolare la mia ammirazione va  a quelle donne che come me che amano la corsa in montagna.

Io non mi fermo mai e sono felice!




Laura Ricci è su Facebook

 

 

 

Le foto utilizzate per quest'articolo provengono dal profilo facebook di Laura Ricci

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4 ottobre 2012 4 04 /10 /ottobre /2012 07:30

Da sinistra: Noemi Gizzi, Maria Ilaria Fossati e Guglielmo Boni, prima della partenza del Giro del Lago di Varese 2012Sono stati oltre 1200 gli atleti che hanno partecipato a Il Giro del Lago di  Varese, organizzato dal Gruppo aziendale maratoneti Whirlpool EMEA e patrocinato dalla Provincia di Varese, omologata FIDAL e inserita nel calendario regionale lombardo di Categoria A individuale e Criterium regionale di società categoria Master. Gli atleti erano alla partenza alle ore 9.00 della mattina del 30 settembre, dalla fabbrica Whirlpool di Cassinetta di Biandronno, stesso luogo dove si è conclusa la manifestazione e dove si sono tenute le premiazioni degli atleti. Diverse le categorie in gara: Handbike che ha visto l´iscrizione di circa 50 atleti disabili, Piede d´oro per i 3 o i 10 Km, Giro completo individuale o a staffetta.   
Quest'edizione ha decretato un ulteriore successo rispetto alle due precedenti edizioni, visto che erano presenti atleti provenienti da tutta la Regione e dalla vicina Svizzera.  
La manifestazione podistica ha visto gli atleti fare il giro completo del Lago di Varese sulla distanza di 25 Km, una distanza da vivere correndo, ma anche condividendo con gli altri  momenti di fatica e divertimento, senza dimenticare la promozione del territorio.  Il buon risultato della manifestazione nella sua interezza è è stato il tangibile risultato di un lavoro svolto in sinergia tra il GAM WHIRLPOOL e la POLHA. Un’iniziativa all´insegna dello sport, dell´amicizia e della solidarietà è stata quella delle staffette con le quali l'organizzazione ha sostenuto - con una piccola raccolta fondi - l'Associazione Medici con l'Africa CUAMM.
 

 

I Premiati
Per la categoria individuale maschile
1° Vaccina Tommaso - 1: 20:44 (record del giro del lago)
2° Zenucchi Emanuele - 1:26:26
3° Ripamonti Stefano - 1:26:30

Per la categoria individuale femminile
1° Zaccagni Ilaria - 1:40:07
2° Gizzi Noemi - 1:42:10
3° Baracetti Simona - 1:42:20

Per la categoria Handbike 
1° Cecchetti Paolo - 00:38:44
2° Libanore Athos- 00:40:08
3° Sette Pantaleo - 00:40:09

Per la categoria staffetta maschile
1° Ilma Cuscrin - 1:39:15
2° Fast and Furios - 1:41:00
3° Cagnamagra Group - 1:45:21

Per la categoria staffetta maschile
1° Le Amemotte - 1:40:41
2° Whirlpool Group - 1:44:41

3° Le Gattoparde

 

 

 

Ecco di seguito le impressioni di Marco Rampi, animatore dell'iniziativa Benefica CUAMM Medici con l'Africa e di Maria Ilaria Fossati (azzurra di ultramaratona, Road Runners Club Milano) che ha accompagnato nella sua corsa di 25 km l'atleta paralimpico non vedente Guglielmo Boni (ASD Runners bergamo)

 

(Marco Rampi) Per la croncaca, la gara era organizzata perfettamente, oltre mille i partenti,  lungo il percorso sulla provinciale che è una grossa arteria di viabilità e che gira attorno al lago, è stata realizzata e mantenuta la chiusura totale del traffico. E, ancor di più, nessuna macchina che suonava ad incroci e e ai relativi blocchi.
Quasi fossimo su Marte! 

Quasi 80 sono state le staffette che hanno corso il Giro del Lago di Varese con CUAMM - Medici con L'Africa.
Per noi è stata la prima tappa di un "circuito" che ci vedrà andare in Etiopia il mese di novembre a correre la Great Ethiopian Run, una gara di 10 km con oltre 40.000 iscritti! Correranno anche Tolosa ed Habtamu i due ragazzi etiopi a cui abbiamo donato le protesi e che hanno corso la Milano City Marathon lo scorso aprile.
Con l'anno prossimo saremo poi impegnati alla Kilimanjaro Marathon (maratona e mezza maratona) in Tanzania.
Le ultime due tappe sono a Milano con Stramilano e Milano City Marathon.
Cerchiamo maratoneti, staffettisti... e persone che vogliano contribuire alla causa dando un contributo al progetto su:  www.retedeldono.it/onp/cuammvarese
 
 

Maria Ilaria Fossati e l'atleta paralimpico non vedente Guglielmo Boni, all'arrivo del Giro del Lago di varese 2012 - Foto podisti.net(Maria Ilaria Fossati) Blocco Totale  ... del traffico, lungo le strade del Lago di Varese, della mia città che stavo perdendo.
L'asfalto tirato come un biliardo, che è un piacere correre  con Guli [Guglielmo Boni] al cordino.
Il pettorale n°1, nella mia città, il fazzoletto arancione del Cuamm - Medici con l'Africa al collo, che è difficile da abbinare alle calze compression color fucsia.
E' festa, è l'emozione di incontrare tantissimi amici, del presente e del passato... che, grazie alla corsa, si fondono in armonia.
E' come passare un valico e vedere che, al di là, c'è un'altra valle ed è bellissima, e non fa più paura.
Blocco totale.
Il mio amico Guglielmo non vede, e correrà accanto a me. Sarò la sua guida,anche se so che sarà dura tenere i suoi ritmi ora, ho perso quel poco di brillantezza e velocità che avevo.
Blocco totale, del traffico e delle mie gambe.
Il silenzio della provinciale senza auto stride con la mia fatica esagerata... sono solo 25 km, "...e per te saranno una passeggiata".
Invece sono un'agonia, niente non funziona.
E' paradossale...o forse no: ma Guli diventa la mia guida, mi tira col cordino, mi parla, mi sprona, mi prende in giro.
Mi dimentico quasi che sono solo io quella che vede e lascio fare tutto a lui.
Se non fosse per Guli, starei già camminando e chiacchierando coi volontari.
Mi chiede "ma tu sei riccia?"
Blocco totale.
Questa domanda è come una sberla, mi riporta alla realtà. Lui non vede i miei capelli, la strada attorno al mio lago ma VEDE la mia fatica. 
Non mi ricordavo che si potesse soffrire tanto in una gara così "corta", ma forse ha reso solo più densa ed indimenticabile la mia giornata, il mio Giro del Lago di Varese.
Arrivare con Guli vale più di un podio, più delle bottiglie di vino, dei fiori o del tuo nome sulla classifica.
E' la differenza fra la luce ed il buio.
Chiedetelo a lui...

 

 

 

Nelle foto (Fonte: Podisti.net): In alto: Noemy Gizzy (Atletica Faenza, Ilaria Fossati (Road Runners CLub Milano), Guglielmo Boni (ASD Runners Bergamo), atleta paralimpico non vedente
In basso: Maria Ilaria Fossati e Guglielmo Boni al traguardo del Giro del Lago di Varese, in località Cassinetta di Biandronno (VA)
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26 settembre 2012 3 26 /09 /settembre /2012 11:46
ricordando rosario 03La catanese SuperElena Cifali (ASD Movimento é Vita Gela) non ha mancato di partecipare alla 1^ edizione del Duathlon Off Road "Ricordando Rosario" che si è svolto il 17 settembre 2012, a Piano Battaglia (Palermo).
Fedele alla tradizione, anche di questa gara che rappresenta una novità rispetto alle gare trail e alle podistiche su strada da lei sperimentate, ha voluto raccontarci questa sua esperienza.
La novità importante è che, considerando il tipo di formula proposta dagli organizzatori della gara, la nostra SuperElena ha voluto accostarsi alla gara, come modo per realizzare un'impresa comune con il marito Ezio Sanfilippo che ha disputato la frazione in MTB.
E, alla fine, come coppia mista, i due intrepidi coniugi sono stati anche premiati nella graduatoria delle coppie miste.
Qui di seguito, il suo racconto.
Ci sono tanti modi per divertirsi: io ho scelto di correre.
Ci sono tanti modi per vivere: io ho scelto di correre.
Ci sono tanti modi per fare nuove amicizie: io ho scelto di correre.
Ci sono tanti modi per far parlare di se: io ho scelto di correre.
Ci sono tanti modi per trascorrere un fine settimana diverso: io ho scelto di correre.
Ci sono tanti modi per avvicinarsi alla natura: io ho scelto di correre.
Ci sono tanti modi per sognare nuove conquiste: io ho scelto di correre.
Ed è per tutti questi motivi che, in coppia con mio marito Ezio (che si è occupato del tratto in bicicletta), che ho scelto di partecipare al Duathlon di Piano Battaglia. La giornata aveva il nobile scopo di ricordare Rosario, un ragazzo strappato alla vita troppo presto.
E qual miglior modo di ricordarlo, se non attraverso quello che a lui piaceva fare? Con una gara sportiva!
A questa esperienza hanno partecipato insieme a me anche Enzo, Francesco e Salvo con le loro famiglie.
Partiti tutti insieme dai paesetti alle pendici dell’Etna abbiamo cambiato panorama spostandoci dalla nera lava alla liscia pietra bianca delle Madonie.
Abbiamo approfittato dell’occasione per trascorrere il sabato precedente la gara nella splendida e fatata Petralia Sottana.
Un borgo costituito da eterne casette arroccate sulla montagna, tutte addossate le une alle altre.
Sono rimasta colpita dalla bellezza, dalla pulizia e dalla cordialità delle persone che la abitano. Potrei scrivere intere pagine sul fascino che ha esercitato su di me questo luogo, ma sono qui per raccontare della splendida gara.
Ci siamo spostati sul luogo del raduno di buon mattino, tra i primissimi ad arrivare salutiamo man mano tutti gli amici di sempre: Giuseppe Cuttaia, Carmelo Santoro, Vittorio Ammirata, Gioacchino Maniscalco, i fratelli Saitta, Teresa Ferro, Concetta Filizzolo, Davide Sabatino e tutti gli altri pazzi pazzi ecotrailman.
Per molti di noi sarebbe stata l'occasione per un buon di squadra - un'esperienza sicuamente nuova - con un risultato finale non più dipendente solo da noi, ma anche dal nostro compagno.
Giuseppe ci ha spiegato sapientemente il percorso e le sue insidie.
In breve tempo siamo tutti sulla linea di partenza… e viaaaaaaaaaaa!
Come al solito parto con cautela insieme a Salvo ed Enzo, iniziano subito i 4 km di salita.
Sto molto attenta a non finire con i piedi nel fango, le scarpe slittano e ho come l’impressione di correre sul sapone liquido. L’odore emanato dalla fanghiglia è pungente essendo un misto di terra e sterco lasciato dalle mucche e dalle pecore che scorgiamo intorno a noi, frequentatrici abituali di questi pascoli di montagna.
Rompere il fiato, iniziando subito con la salita, non mi è facile, a 1600 metri l’altitudine fa la sua parte. Ma ormai mi conosco e so perfettamente che in salita posso dare il massimo, se voglio recuperare qualche posizione. Supero molte persone tra cui alcune donne.
Mi ritrovo capo fila senza nemmeno accorgermene. Qaundo arrivo in cima alla montagna, la nebbia mi avvolge come ovatta, dandomi un senso di calore e tenerezza nonostante la temperatura sia tutt’altro che calda. Mi appoggio con le mani alla croce posizionata sulla parte più alta e urlo ad Enzo che si trova poco dietro di me: “Il mondo è mioooo...”; presa da un'irrefrenabile euforia, rido e mi compiaccio per quello che sto facendo, per come lo sto facendo, per le persone che ho vicine a me. 
Il fiatone mi abbandona velocemente: adesso inizia la discesa, una stramaledettissima discesa spaccapiedi e ginocchia. Urlerei volentieri di dolore ogni volta che il mio piede destro batte per terra. La spina calcanerare si fa sentire e non mi concede tregua. Rallento mio malgrado la discesa che, tra le altre cose, mi fa una terribile paura.
Il sentiero è tortuoso e pieno di pietre, fango e radici che spuntano insidiose dal terreno. Mi sembra di fare un percorso ad ostacoli ed invidio chi si lascia andare in una corsa sfrenata, letteralmente scaraventandosi a valle.
Enzo si è fatto strada e in un batte d’occhio è già lontano da me, così come Salvo.
Dietro di me una voce di donna mi chiama per nome, dicendo: “Tu sei Elena Cifali, ti conosco attraverso il web, riconosco la tua maglietta, ce l’ho stampata in mente”.
A parlarmi è Giorgia Pecoraro con la quale correremo i restanti 4 km, quella di Giorgia è una compagnia inaspettata e molto piacevole, iniziamo a parlare di corsa e del suo cane, parliamo, parliamo e ancora parliamo, senza mai distogliere lo sguardo dal terreno. Solitamente la mente viaggia molto velocemente, i pensieri riaffiorano, ma stavolta non riesco ad estraniarmi completamente, oggi mi lascio coinvolgere dalla sua gradita presenza e in men che non si dica siamo a valle.
La discesa è finita, ma la gara no.
Lasciamo lo sterrato ed iniziamo a scorrere velocemente su un breve tratto d’asfalto che ci condurrà a terminare questa prima parte.
Ad aspettarmi Ezio, in sella alla sua bici, gli occhi ci brillano quando ci diamo il 5. Lui parte sicuro, adesso è il suo turno, io posso riposarmi e godere della compagnia di mio figlio Luca che, con solerzia e premurosità, mi porge dell’acqua e mi chiede come sto…
E' tutto come se fossimo una vera squadra.
Mi cambio la maglietta, mi asciugo e mi copro, la temperatura è bassa e temo di prendermi un malanno.
Intenta in queste operazioni non vedo Ezio che conclude il primo dei tre giri di sua competenza.
Al secondo passaggio lo incoraggio ed inizio a prepararmi, tra poco tocca di nuovo a me. Il tempo non mi passa mai, sto fremendo, i miei muscoli si sono raffreddati, insieme ad Enzo decidiamo di riscaldarci nuovamente percorrendo in senso inverso il tratto finale della corsa. Di li a poco scorgiamo in lontananza Ezio: corriamo verso il luogo del cambio, ancora una volta ci scambiamo il Cinque e riparto.
Stavolta indosso la maglietta della mia società.
A farmi compagnia, l’amico Enzo.
I muscoli mi sembrano più rigidi
Mi torna il fiatone.
Cerco di non finire coi piedi nella fanghiglia.
Mi arrampico schivando pietraie.
Benedico il posto in cui mi trovo, un luogo incantato dove la natura, il cielo colmo di nuvoloni minacciosi la fanno da padroni.
In questa terza parte di gara i runner ripercorrono quanto fatto prima da chi era in bicicletta, lo stesso identico percorso (ma sarà soltanto un giro).
Mi sorprendo per la difficoltà che hanno incontrato i miei compagni, certamente pedalare in quelle condizioni, su quelle pietre ed in mezzo a tutto quello sterco non sarà stata una cosa facile. 
Questi 5 km finali scorrono in fretta: io ed Enzo facciamo molta attenzione a non perdere di vista il tracciato.
Più di una volta inciampo tra le radici che sporgono insidiose.
Attraversiamo il sottobosco e ci troviamo di fronte un’ultima ripida salita.
L’affrontiamo con la consapevolezza che ormai il grosso è fatto ma l’arrivo sembra sempre un po’ più in là.
 Saltiamo una pozza di fango che occupa tutta la stradina ai lati della quale due belle mucche cornute ci guardano con i loro grandissimi occhi. Queste mucche, che a greggi abbiamo trovato lungo tutto il percorso mi fanno un po' di paura, ma loro non si curano per nulla di noi, abituate come sono alla presenza umana.
Siamo quasi arrivati, solo poche decine di metri, allunghiamo il passo, ci si fa incontro anche Francesco (il compagno di Enzo) e ci stringiamo per arrivare in riga vicini vicini al traguardo dove ci aspettano tra applausi ed urla festanti tutti gli altri.
Che bello!
Ancora una volta una vittoria per tutti, una vittoria per lo sport, una vittoria per coloro che hanno partecipato e per coloro che ci hanno accompagnati.
Una vittoria per chi ha avuto il coraggio, la forza e la determinazione di organizzare un evento eccezionale, curato nei minimi particolari.
Ancora una volta non posso far altro che essere felice e ringraziare la vita per questo lusso che mi ha concesso.
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4 settembre 2012 2 04 /09 /settembre /2012 09:57

utmb12-utmb-pt-09-082Daria Negro dell'ASD Runners Bergamo) ha partecipato all'UTMB. Tanti sono stati gli inconvenienti in corso di gara. il maltempo l'ha fatta da padrone e alla fine anche Daria, come tantissimi altri ha preferire gettare la spugna. Molti gli inconvenienti anche al rientro a Champonix: evidentemente la logistica organizzativa non era attrezzata a gestire tanti ritiri.
Il racconto di Daria Negro evidenzia un oo' - anche se in maniera garbata - il backstage della manifestazione: qualcosa che, evidentemente, nei comunicati ufficiali non è stato menzionato.
Alla fine, la conclusione è che è "La montagna a vincere", nel senso che bisogna pur accettarla per come viene.
(Daria Negro) Dopo un anno di preparazione e trafila per l'iscrizione arriva finalmente il momento di preparare la valigia e tutto l'occorrente! a chamonix ritiro il pettorale mercoledi' 29  -(8999)-e controllo materiale obbligatorio ( tutto in super regola) e ritorno a courmayeur dove mi aspetta la cena! seduta al ristorante mi arriva un sms dall'organizzazione: previsioni meteo, molto freddo, vento fortissimo , calo temperature fino a -5, neve a 2000 m, obbligatorio 4 strato in piu' caldo. non potete immaginare la mia faccia! va be', pazienza. il 30 ore 7 partenza!!!! super emozione, un'atmosfera mai provata prima e una commozione per essere li' assieme a tanti ultra trailer da tutto il mondo!!! dopo 20 ' inizia a piovere e che mai smettera', quindi fango, sabbie mobili ecc ecc, la prima salita con dislivello di 1500 m si fa sentire e il freddo aumenta, tutti si coprono, e una serpentina umana sale fino al col de la youlac.. meraviglioso!
Arrivo in cima, dove c'e' il controllo e proseguo... Il terreno é sempre piu' fango ma arrivo al primo cancello, poi il secondo e al terzo inizia la seconda salita ancora più 
dura  (ci ho messo 2 ore e mezza a salire).
Nel frattempo qualcuno torna indietro, io chiedo se sia tutto ok e mi rispondono che é troppo dura e non se la sentono. Io, invece,
 sto bene e vado avanti!
Al 50° km una decina di ritiri ed io continuo, sono le 21.00: metto la frontale e mi vesto ulteriormente, il freddo avanza e mi sento le mani come due ghiaccioli. Ma continuo adesso in compagnia di un Catalano e mi faccio forza.
Arriva la discesa più brutta e tecnica: un vero incubo!
Una discesa in cordata con uno strabiompo che non volevo vedere, le pietre bagnate e il buio.
Nel frattempo recito tra me e me il rosario e, finalmente, sono giù!
in questi 10 km che mi portano al cancello del 60 ho praticato due soccorsi a due uomini semi-incoscienti e in ipotermia - non vi posso descrivere - sembravano cadaveri! Si erano fermati forse per recuperare ed erano vestiti poco, un altro po' e ci lasciavano le penne. Incoscienti!, solo questo ho pensato, con tutte le raccomandazioni fatte! 
Daria Negro alla premiazione finale del Magraid 2012. Foto di Maurizio CrispiAlla fine arrivo al 60° con 2 ore di ritardo e mi son fermata, e comunque iniziava a nevicare. Ed e' stato meglio così, andra' meglio il prossimo anno, ci voglio riprovare!
Nella classifica generale sono arrivati meno la meta' dei partenti.
Altro calvario è stato l'arrivo a Chamonix.
Dalle 3.30, quando sono salita sul pullman, ci hanno riportato alle 9.00, tutti bagnati, puzzoni, pieni di freddo e sfiniti dalla fame!
Di 4 doccie 2 funzionanti, nemmeno una spina e un phon, e il pasta party pollo secco, polenta e salsiccia (il tutto adatto a spaccare lo stomaco proprio del tutto!).
Alle 13 ritorno a Courmayeur con mio marito e, finalmente, una bella dormita.
Sabato mattina? Mi son fatta un escursione al ghiacciaio... con il sole!
Cose da non credere! Ma questa è la Montagna!

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25 agosto 2012 6 25 /08 /agosto /2012 18:40

La mia prima maratona a New York nel 1989(Maurizio Crispi) La mia prima Maratona fu a New York, nell'Autunno del 1989. Vi partecipai, inseguendo il "mito" della maratona, alimentato da alcuni eroici personaggi che abitavano nella mia mente, e affascinato dalla speciale "mitologia" cresciuta in quegli anni proprio attorno alla Maratona di New York.
Mi allenai da solo, seguendo a modo mio le indicazioni contenute nel volume di Arcelli (allora uno dei pochi volumi disponibili su allenamento, alimentazione ed integrazione nella maratona) e la conclusi in 4h03'.
Riuscii a correrla tutta, anche se gli ultimi chilometri, già in Central Park, furono una dura (e memorabile) fatica, ma l'entusiasmo degli ultimi chilometri e la gioia dell'arrivo ne furono un antidoto da cui fui ripagato a dismisura.
Poi, dopo quell'esperienza, fui contagiato dal "virus" della corsa e riusci a completare - sino al 2007 - più di 200 tra maratone e ultramaratone.

Dopo quella prima volta, chiesi in giro e riusci a trovare un amico, molto bravo nella corsa e nella Maratrona (Delfio Cocciola) che cominciò a consigliarmi per portare avanti un allenamento più razionale e per migliorare il mio primo risultato.
Dopo aver ripetuto nel 1991 l'esperienza di maratona a New York con il crono di 3h43' (ma ero sotto antibiotici per via di una brutta faringo-tonsillite, esordita proprio il giorno prima di partire: davvero un classico, questo), corsi la Maratona Tourist Mondiale di Palermo, poco più di un mese dopo e fu qui che realizzai il mio miglior tempo di maratona: 3h20'10" (che confermai con una differenza di una manciata di secondi) nel corso del 1992, in occasione della Maratona di Marrakech (6 gennaio) con il crono di 3h20'20 e della Maratona di Bologna (a febbraio), con 3h20'28.
Poi, mi stancai di allenarmi in quel modo.
Ecco di seguito un articolo che a distanza di anni scrissi per commerare quella prima - fondante - esperienza. 

 

 

New-York-Marathon-1989_Prima-della-partenza.JPG

 

Ho corso la mia prima maratona a New York nel 1989.

È stato questo il “battesimo” che ha sancito il mio ingresso nel “popolo delle lunghe”.

Una sorta di iniziazione e rito di passaggio, al tempo stesso.

Non poteva che essere così, vista la rilevanza mitica e “mistica” di questo evento podistico.

Retroattivamente, posso senz'altro dire che sono andato a New York non tanto perché fossi interessato alla maratona in sé, quanto piuttosto perché ero affascinato dalla possibilità di essere parte vivente di questo grande happening festoso che, già da diverso tempo trovando sempre più spazio nei mass-media, era entrato a far parte del grande immaginario collettivo, ma anche desideroso di sottomettermi ad una “prova”, un cimento che assumeva un forte significato in quel particolare momento della mia vita.

 

Gli antefatti. Partecipare alla maratona della grande mela! Un’idea che accarezzavo dentro di me da diverso tempo, ma che esitavo ad tradurre in azioni concrete: in realtà, allora non sapevo proprio nulla di corsa sulla grande distanza, a parte il fatto che da sempre avevo utilizzato la corsa lenta nella preparazione invernale del canottaggio e della canoa, i miei sport agonistici giovanili.

Da quando avevo sentito parlare per la prima volta della maratona di New York erano passati diversi anni e sempre, di anno in anno, mi lasciavo sfuggire l’occasione, non facevo nulla per pianificare.

Ma ovviamente, in tempi in cui l’accesso ad internet non era ancora così sviluppato come adesso mi mancavano gli elementi basilari del know how: a chi rivolgersi, quali passi intraprendere, come iscriversi (per quanto riguardava gli aspetti meramente organizzativi); come allenarsi per essere nelle condizioni più idonee per correre i 42km195mt sino in fondo (per quelli che erano gli aspetti più specificamente tecnici), quella che per me rappresentava una distanza semplicemente titanica, quasi inconcepibile.

Nell’estate del 1988, sono incorso in una malattia renale (fortunatamente a decorso benigno), a causa della quale il luminare nefrologo cui mi ero rivolto mi prescrisse riposo assoluto per almeno un anno, lasciandomi capire che anche dopo, ammesso e non concesso che tutto si fosse rimesso a posto, certamente non sarebbe più stata la stessa cosa e che avrei dovuto essere piuttosto cauto, limitando drasticamente la ripresa di qualsiasi attività sportiva.

In realtà – e lo dico da medico – i medici  spesso e volentieri sono timorosi  e tendono ad accentuare con i propri pazienti la necessità di un atteggiamento prudenziale, creando – di fatto – attraverso la proposta di una sedentarietà mali peggiori di quelli che intendono prevenire (la necessità di “prevenire” la malattia e la morte, si traduce in iniziative che tendono a far “morire di paura”).  Ma fortunatamente, a bilanciare il punto di vista severo del primo neurologo, un altro collega medico, anche lui nefrologo, ma sportivo praticante e reduce – come me – da un passato di canottaggio agonistico, di fronte la mio sconforto, mi disse di non preoccuparmi eccessivamente e di fare ciò che sentivo di fare, una volta trascorso un necessario periodo di pausa.

Trascorsi dunque un anno intero, quasi da “pensionato” dello sport, limitandomi a brevi passeggiate in bici oppure a camminate – anch’esse brevi – con il mio cane.

Passato questo periodo, mi sentivo ormai impaziente e recalcitrante: insomma non volevo più essere un “paziente”, ma nello stesso tempo mi era duro liberarmi dall’esortazione alla prudenza del primo nefrologo, che nella mia mente di medico era stata profondamente interiorizzata come un monito…

I controlli che effettuavo regolarmente una volta al mese indicavano che tutto era a posto…

E così passavano i mesi.

Ad un certo punto a metà circa del 1989, l’anno fatidico del compimento dei miei “primi” quaranta, mi sono detto in un empito di ribellione: “Ora basta… basta con gli esami… basta con il riposo forzato… basta con le visite mediche di controllo… adesso sto bene e farò a modo mio!” E per dare un senso forte alla mia decisione dissi a me stesso: “Questo è l’anno in cui andrò a correre la maratona di New York. È deciso!” .

Fedele al voto, cominciai a fare lunghi allenamenti di corsa lenta, raggiungendo nuovamente l’autonomia di un’ora, poi di un’ora e trenta, per poi arrivare alle soglie dell’estate a lunghi di due-tre ore. Semplicemente, in questa prima fase, senza essermi confrontato con nessuno e muovendomi del tutto da outsider nel mondo della corsa, immaginavo che, per arrivare a correre la distanza della maratona, bisognasse correre tanto (a lungo in termini sia di tempo sia di importi chilometrici coperti giornalmente).

Ovviamente, ho cominciato a chiedere in giro quali passi si dovessero fare per andare a New York, sono entrato in contatto con un club podistico di Palermo, al quale mi sono iscritto dopo aver fatto la visita medica per le attività sportive agonistiche; ho cominciato a partecipare ad una serie di gare brevi che, di fatto, in questa prima fase hanno rappresentato i miei medi, ma non posso dimenticare che l’esordio nelle gare podistiche competitive l’ho avuto con una mezza maratona, valevole come Campionato Regionale di Maratonina.

Insomma, con l’inizio dell’estate e avendo già accumulato almeno dieci esperienze di gare podistiche su brevi distanze disputate, tra le quali il mitico giro podistico dell’Etna, leggendo un numero di Correre, sono stato colpito dalla pubblicità del volume di Arcelli, appena pubblicato, Correre la maratona: ho pensato, E’ il libro che fa per me! e ho subito deciso di acquistarlo, direttamente per posta; dopo averlo studiato, ho cominciato ad applicare – ovviamente, in maniera imperfetta – alcuni dei consigli e degli schemi presentati per l’ottimizzazione degli allenamenti.

Così è passata l’estate.

Intanto, avevo già perfezionato la mia iscrizione alla maratona della grande mela, stabilendo dei contatti con un podista di Palermo che si occupava di raccogliere adesioni dei siciliani, facendo da tramite con l’organizzazione di Baldisserotto.

Fu così che entrai a far parte della comitiva (per quell’anno nutrita) dei palermitani che sarebbero partiti per New York.

Già sentivo che, ormai, il mio voto era prossimo al suo compimento, anche se, nello stesso tempo, tante erano le apprensioni di fronte all’ignoto di una distanza che, in ogni caso pur avendo sperimentato dei lunghi piuttosto cospicui, mai avevo percorso per intero.

In più, ero sempre più eccitato all’idea di andare per la prima volta a New York e di potermi aggirare all’interno di scenari che, sino a quel momento, avevo potuto osservare soltanto nei tanti film di ambientazione newyorkese.

 

La maratona. Una tragedia! Subito prima della partenza, mi prende un violento raffreddore, con faringite; per scongiurare il peggio, comincio ad imbottirmi di antipiretici ed antibiotici. Ma non si può non partire: il pensiero di una rinuncia non sfiora nemmeno per un attimo l’anticamera del mio cervello.

Rimango decisissimo e determinato.

Siamo al giorno della partenza.

Il viaggio si svolge in un clima di grande euforia collettiva.

E l’euforia persiste anche al nostro arrivo a New York: anzi si potenzia a dismisura.

Per molti della comitiva è il primo viaggio in America.

Giriamo per le strade di Manhattan, guardandoci attorno estasiati.

Soprattutto stupiti, ci troviamo a guardare in alto le strette strisce di cielo, delimitate da grattacieli di altezza vertiginose, sentendoci piccoli e minuscoli.

Una città di proporzioni titaniche, eppure stranamente a misura d’uomo.

Inebriati dalle novità, nei giorni che precedono la maratona,  non mancano le corse di allenamento entusiastiche su e giù per Central Park (ben più che semplici allenamenti defaticanti in vista della prova di maratona che ci attende).

Ma inaspettatamente, comincia a far freddo e a piovere: d’urgenza vado a visitare un negozio di articoli sportivi e compro una serie di indumenti di cui ero del tutto sprovvisto (articoli “tecnici”, mai avuti prima: fuseau da corsa, una giacca impermeabile in leggero tessuto di goretex, delle nuove scarpe) spinto dal timore di non aver di che per coprirmi bene il giorno della maratona.

Le mie sensazioni sono quelle di uno che si accinge a vivere un’avventura, anzi che è proprio immesso in un’avventura… senza avere assolutamente idea di quello che mi può aspettare!

Il giorno della Maratona ancora sto piuttosto male: tosse e catarro, anche se il mal di gola èun po’ regredito….  E comunque vado lo stesso: sarebbe assurdo rinunciare dopo quasi un anno di attesa e di preparazione!!

Alle 5.30 usciamo dall’albergo per essere trasportati con i bus sino all’area predisposta a Staten Island per accogliere gli oltre ventimila partenti in attesa del segnale dello start.

Le ore di attesa passano lente… fa freddo, si fa fatica a riscaldarsi… andrà meglio quando ci troveremo tutti assiepati dietro la linea di partenza, qui il calore animale che si leva da tutti i nostri corpi stretti come sardine ci proteggerà dall’aria pungente.

Intanto, nell’attesa, tutto è anche fonte di sorpresa e di meraviglia: nell’area di raduno c’è l’animazione che provvede a suggerire movimenti corali per riscaldare i muscoli (per riscaldarsi), c’è la musica rockettara a tutto volume, ci sono tipi che si accingono a correre la maratona vestiti (se non addirittura mascherati) in modo pittoresco per attirare l’attenzione su di sé, si scattano foto ricordo in posa (individuali o in gruppo); uno strano personaggio vestito da diavoletto ci viene vicino e lo invitiamo  a partecipare ad una foto ricordo della nostra comitiva con lo sfondo del ponte, su cui correremo le prime due miglia circa.

E finalmente il via: è un’emozione indicibile percorrere per la prima volta il Verrazzano Bridge, sentendo ad ogni passo, nelle gambe la vibrazione del ponte determinata dalle migliaia e migliaia di passi che asincronicamente ne percuotono la superficie.

Dal mio fronte di partenza mi trovo ad essere immesso sul piano inferiore del ponte, ma l’emozione non certamente inferiore.

Un’esaltazione quasi febbrile cresce in me mentre muovo i primi passi, impacciato e stretto nella folla, al pensiero di essere in migliaia e migliaia tutti accomunati dall’esecuzione di un unico gesto, più di ventimila cuori che battono all’unisono all’interno di questa gigantesca cattedrale dell’ingegno umano che è questo gigantesco ponte.

Già queste sensazioni sono tali da indurre uno stato di vera e propria ebbrezza.

Una sorta di estasi selvaggia non indotta da droghe.

Procedo piano e con regolarità, senza strappi né sorprese.

Arrivo quasi senza accorgermene e senza avere sofferto al 25°km, cioè all’attraversamento del Queensboro Bridge, il cui superamento equivale alla scalata e alla discesa di una piccola collina….

Durante tutto il tragitto, il percorso si è snodato attraverso due ali di folla festanti, volti sorridenti, parole di incoraggiamento, forme di supporto spontaneo, persino i bambini vogliono partecipare offrendoti caramelle e dolciumi, qualcuno vuole manifestare in maniera più decisa il proprio entusiasmo: Gimme five! dice esortativo un ragazzino esponendo il palmo della sua mano perché tu lo percuota al passaggio con la tua.

Si ha la netta percezione che, per la folla assiepata, ciascuno di noi è a tutti gli effetti un eroe del mito che sta cimentandosi con la sua prova e che a lui quindi è destinato il tributo che un tempo si riservava agli eroi e ai semidei

A Manhattan continuo ad andare abbastanza bene: durante  l’attraversamento di Central Park arriva una crisi ma non eccessiva, tutto sommato controllabile.

Malgrado tutto non comincio a camminare nemmeno per un attimo: ciò nondimeno, nel momento del cedimento, vengo superato in pochi istanti da centinaia e centinaia di maratoneti che viaggiavano dietro di me.

Il mio risultato finale (4h03’12”) è abbastanza soddisfacente: insomma posso ben dire, anche alla luce delle mie esperienze successive che ero ben preparato.

Subito dopo, dolorante e tremante, mi sono trascinato in albergo: un lungo bagno caldo e poi a letto al caldo.

E soltanto dopo alcune ore mi passano i tremiti, lasciandomi decisamente affamato, ma soddisfatto a rimirare con compiaciuto orgoglio la medaglia ricordo di una manifestazione così unica al mondo, sentendo che l’ho proprio ben meritata.

"You didi it" mi hanno detto all'arrivo, infilandomi al collo la medaglia, come il serto della vittoria che spettava agli antichi atleti.
"Ce l'hai fatta!" E il senso implicito della frase era (é): "Hai affrontato la sfida e sei sopravvissuto!".
E non si possono non citare qui le folgoranti considerazioni del filosofo francese Jean Baudrillard, a proposito della Maratona (e della Maratona di New York in particolare) come forte e cogente dimostrazione che si può sfidare una prova dura e difficile, sopravvivendo ad essa, rifondando attraverso questo passaggio la propria esistenza, quasi avesse il senso di una prova ordalica.

 

"Non avrei mai creduto che la maratona di New-York potesse strappare le lacrime. È uno spet­tacolo da fine del mondo. Si può parlare di sofferenza volontaria come di schiavitù volonta­ria? Sotto la pioggia battente, sotto gli elicotteri, sotto gli applausi coperti da un cappuccio di alluminio e sbirciando il cronometro, oppure a torso nudo e con gli occhi stralunati, tutti cer­cano la morte, la morte per sfinimento che fu quella del maratoneta di duemila anni fa, il qua­le, non dimentichiamolo, portava ad Atene l’annuncio di una vittoria. Anche loro sognano di essere portatori di un messaggio vittorioso, ma sono in troppi, e il loro messaggio non ha più senso: ha solo quello del loro stesso arrivo, al termine dello sforzo – messaggio crepuscolare di uno sforzo sovrumano ed inutile.
Collettivamente, porterebbero piuttosto il messaggio di un disastro della specie umana, dato che la si vede degradarsi di ora in ora con il susseguirsi degli arrivi, dai primi ancora prestanti e competitivi fino ai relitti che gli amici portano lette­ralmente al traguardo, o agli handicappati che coprono il percorso sulla sedia a rotelle. Sono in 17.000 a correre, e il pensiero va alla vera battaglia di Maratona, in cui non erano neanche in 17.000 a combattere. Sono in 17.000, e ognuno corre solo, senza neppur pensare alla vitto­ria, semplicemente per sentirsi vivo. "Abbiamo vinto" ansima il Greco di Maratona spirando. "I did it" sospira il maratoneta sfinito crollando sul prato di Central Park. 
[...] La maratona è una forma di suicidio dimostrativo, il suicidio pubblicitario: correre per far vedere che si è capaci di andare al di là di se stessi per dimostrare… dimostrare che cosa? Che si è capaci di arrivare. Anche i graffiti non dicono altro: Sono il tal dei tali e esisto! Pubblicità gratuita all’esistenza!
Bisogna dunque dimostrare continuamente la propria vita? Strano segno di debolezza, segno foriero di un fanatismo nuovo, quello della performance senza volto, dell’evidenza senza sco­po."
  
Fonte: Jean Baudrillard, L’America, Feltrinelli, 1987, Milano, pp. 21-22.

Il dopo-maratona. Nei giorni successivi, grande entusiasmo, grande eccitazione.

Il giorno dopo, per quanto provati, usciamo tutti in gruppo  per andare a correre a Central Park: ancora una volta sembra di rivivere scenari da film, tante volte visti.

Presi dall’entusiasmo, ci diamo sotto, con ritmi elevati, non esattamente da recupero: ma a chi importa? Il pensiero tacito è quello che siamo a New York per la prima volta.

E così tra la corsa mattutina (sempre impegnativa) e i giri turistici per Manhattan trascorrono velocemente (troppo!) i giorni del nostro viaggio.

Al ritorno a Palermo, sotto il profilo sportivo, niente recuperi: ho ripreso ad allenarmi con intensità;  anzi, entusiasta del risultato conseguito a New York, ho deciso di rivolgermi al prof Totò Liga che allora, allo Stadio delle Palme, seguiva volentieri un gruppo di podisti amatori. Gli ho chiesto quindi dei suggerimenti per migliorare la mia performance, partendo dalla base ormai acquisita e lavorando sul tempo che ho realizzato ( e che, a tutti gli effetti, adesso era il mio riferimento). C’era ben poco tempo a disposizione: di lì a poco, ai primi di Dicembre, c’era l’appuntamento  con la maratona di Palermo, cui non intendevo rinunciare.

Quindi, seguendo i consigli del prof. Liga, mi sono limitato a fare qualche lavoro in pista (niente di che, ma comunque significativi, perché erano per me una novità assoluta) tra cui, in particolare, alcune ripetute sui quattrocento e poi anche qualche medio (anche in questo caso universo tutto da scoprire); a metà dell’intervallo di tempo tra New York e Palermo, ho avuto modo di partecipare ad una gara di 10km che è valsa come un altro medio.

Sempre gasatissimo, sono andato avanti con impegno, a volte allenandomi anche due volte in un giorno.

Alla vigilia della mia seconda maratona, il 7 Dicembre, di Sabato pomeriggio, fregandomene alla grande di qualsiasi restrizione prudenziale, ho corso assieme ad alcuni irriducibili,  allo stadio di Atletica, per oltre un ora nella pista esterna in terra battuta.

Poi, a casa, una gigantesca porzione di pastasciutta e quindi a nanna, in attesa, tranquilla e desiderante, della mia seconda esperienza di maratona.

Anche se Palermo non è New York, anche se il mio entusiasmo di neofita mi ha indotto a minimizzare su alcune clamorose defaillance dell’apparato organizzativo (ma, d’altronde, allora il mio occhio non era ancora allenato a coglierle), riesco benissimo e concludo la distanza sotto le quattro ore (in 3h46’44”), con la previsione quindi di ulteriori margini di miglioramento in future maratone.

È stato così che ho iniziato a correre le maratone: a queste prime due che hanno avuto per me il carattere e il fascino forte  dell’avventura ce ne sono state molteplici altre sino ad oggi.

Ma devo dire che, benché le mie esperienze di maratoneta nel corso degli anni si siano accresciute a dismisura rispetto a quel vuoto iniziale, non sono più riuscito a cogliere né alla partenza di una maratona né – soprattutto – al suo arrivo quel complesso di sensazioni e di emozioni sperimentate durante la mia prima “mitica” maratona di New York.

Ho avuto voglia di scrivere dei miei inizi di maratoneta, leggendo una lettera su “Quattro chiacchiere tra amici” dove uno ( di cui – scusandomi – non riesco a ricordare il nome) alla sua prima esperienza di New York che descriveva appunto con l’entusiasmo del neofita chiedeva – si chiedeva – se gli sarebbe stato possibile correre a distanza di circa un mese una seconda maratona, cercando consigli da chiunque fosse in grado di dargliene.

Certo che si può, rispondo io.

E si può - aggiungo - mantenendo intatto un certo margine di miglioramento.

L’importante è affrontare le cose – le imprese – con  entusiasmo, pensandole soprattutto come piccoli, grandi,  eventi di cui noi stessi siamo artefici e che ci servono per star bene con noi stessi.

 

Palermo, il 6.1.2004
(
Maurizio Crispi)

 

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17 agosto 2012 5 17 /08 /agosto /2012 20:12

SuperElena Cifali all'Etnatrail 2012 - Foto di Maurizio CrispiElena Cifali - anzi, perdonatemi volevo dire "SuperElena Cifali" usando il nome che si è conquistato sul campo (un vero e proprio nome di battaglia), completando entro il tempo massimo la micidiale Supermaratona dell'Etna 0-3000 a metà giugno 2012 - non contenta della sua impresa podistica, ha voluto partecipare all'Etnatrail sulla distanza di 30 km per mietere nuove soddisfazioni personali.
In verità, SuperElena (appartenente alla "rinomata" compagine ASD "Movimento é Vita Gela") i trail del Circuito Ecotrail Sicilia se li farebbe tutti senza sconti.
Ma benché donna "super", lei stessa è la prima a convenire che bisogna stare con i piedi ben pianti per terra e che "non tutto ciò che si vuole, si può fare": con suo rammarico non può applicare ai suoi desiderata la formula dantesca "Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole...".
Per ogni gara archiviata, ce n'è sempre qualcuna che rimane semplicemente "vagheggiata", ma che non può essere "partecipata".

Eppure, la nostra Elena avrebbe potuto mettere in cantiere nuovi trail, perchè subito dopo l'Etnatrail si schiudeva davanti a lei un megnifico periodo di ferie: ...ma saggiamente ha preferito rinunciare, mettendo da parte le attitudini da wonderwoman per dedicarsi alle gioie della famiglia e al piccolo Luca che, per quanto ammirato delle imprese della mamma, la vuole in vacanza tutta per sé.
Be', magari durante i giorni di vacanza e di meritato riposo, la nostra Elena sarà tornata sull'Etna ancora una volta per strappare a "Sua Maestà un carico di more per confezionare la sua ottima marmellata.

Ma di sicuro non mancheranno per la nostra Elena altre occasioni: intanto il suo bel racconto la porta a rivivere e a rimemorare la straordinaria esperienza dell'Etnatrail.
E' un racconto che trasmette tutta la bellezza e la potenza di questo trail di 30 km nella natura forte e primordiale dell'Etna: un trail da scrivere a carattere cubitali negli archivi della memoria e che è l'upgrade di tutte le esperienze di trail siciliani sino ad ora fatte da SuperElena. 

Il racconto che leggiamo, infatti, se da un lato trasmette la bellezza e la magnificenza della natura incontaminato e il fascino del vulcano, nello stesso tempo mostra la fatica e la sofferenza: "No pain, no gain" dice il vecchio adagio. Se si si vuole sperimentare la gioia sublime dell'arrivo, bisogna prima faticare duramente senza sconti, patire crisi e sentirsi vicino alla rinuncia, per sperimentare ogni volta il ritorno delle forze: e, a volte, per riprendersi è sufficiente un sorso d'acqua o a volte una parola d'incoraggiamento o una mano amica, o ancora il sentirsi chiamare per nome.
Prima della partenza dell'Etnatrail. Gioia e felicità - Foto di Maurizio Crispi(Elena Cifali) Ho sempre sostenuto che correre una gara è un po' come partorire e sono certa che le donne runner mi daranno sicuramente conferma di ciò.
In pratica è successo questo. 
Spulciando su internet scopro che il 5 agosto 2012 si correrà un trail di 30 km sull’Etna: "E' a casa mia, non la posso di certo mancare” - mi son detta. Ho iniziato così una lunga e lenta preparazione all’evento, aiutandomi col partecipare a trail più brevi e ad alcune gare su strada, oltre ovviamente agli allenamenti più che certosini.
La mattina del 5 agosto sono sull’Etna insieme a Salvo ed Enzo. Siamo emozionati, contenti, felici, entusiasti, perché un altro sogno sta per avverarsi.
A Piano Provenzana, sul piazzale della partenza ricevo il mio pettorale ed allaccio scarpe e zaino mentre saluto una moltitudine di amici. Ad ogni gara gli amici si moltiplicano: vorrei riuscire a correre con ognuno di loro almeno per un metro [magari qualche decina di passi: che ne dite?], così da fissare nei ricordi un’immagine in compagnia di ognuno di loro.

Ci sono tutti: Maurizio Crispi [amico, fotografo, cronista], Aldo [patron], Orazio e Melchy coscritti della ASD Movimento é Vita], TizianaRino, Tatiana [anche lei da poco della tribù Movimento é Vita], Graziella, Massimiliano, Luigi e anche il neofita Marco, che ha dimostrato di saper correre bene un trail impegnativo come questo sull’Etna, aiuto qualche runner a fissare il pettorale sulla maglietta e mi infilo il cappellino. Ecco, adesso siamo davvero tutti pronti.

Il passaggio di SuperElena sul crinale Serrecozzo - Foto di Maurizio CrispiAl via di Aldo urla di entusiasmo e applausi si susseguono, siamo tutti felici e le nostre gambe si alzano e battendo sulla nuda terra compongono un’allegra melodia.

Inizia subito la discesa, il percorso è semplice anche se accidentato come sempre. Corriamo con agilità per i primi km, si ride e si canta, lo zaino camelback che porto sulle spalle non sembra pesante come negli allenamenti, mi conforto.

Sua Maesta è bellissimo! Ci sta regalando una giornata indimenticabile, il sole è caldo, in cielo neppure una nuvola e l’assenza del vento ci fa sudare copiosamente. La mia maglietta è presto zuppa: così decido di attaccare all’estremità della cordicina dello zaino un fazzoletto di spugna che ho portato con me. Mi sarà di grandissimo aiuto per asciugarmi il viso e mi eviterà il bruciore agli occhi causato dalle goccioline di sudore che vi cascano dentro.
Tutto procede benissimo, cammino nelle salite e cerco di accelerare in discesa.

Dietro di me Tiziana mi chiama, ha qualche problema con l’altezza che le provoca vertigini e mi chiede di tenerla per mano. Non me lo faccio ripetere due volte, la tengo stretta mentre ci arrampichiamo e mentre scendiamo lungo i fianchi del vulcano attivo più alto del’Europa.

La prima parte del percorso è d'una bellezza straordinaria. Pensavo che la lava fosse solo ed esclusivamente nera ed invece mi sorprendo a calpestare lastroni di colore grigio chiaro, quasi bianchi - sembra granito - tutt’intorno la vegetazione è fatta di larghi cuscini di spine.
In salita mi supera l’ultrarunner Alfonso Sciarratta e, come sempre, passandomi mi bacia la mano con un gesto elegante e delicato.
Sono come una figlia per lui e il suo gesto mi lusinga e commuove di volta in volta. Ben presto inizio a cantare una vecchia canzoncina militare come spesso faccio quando mi trovo su un tratto particolarmente bello e faticoso suscitando l’ilarità di chi mi sta vicina. Io e Tiziana ci chiediamo cosa penserebbero le nostre mamme se ci vedessero cavalcare l’Etna tra mille difficoltà.
L'arrivo di SuperElena, mano nella mano con il figlio Luca - Foto di Maurizio CrispiGià, proprio noi che raccomandiamo continuamente ai nostri figli di stare attenti e di non farsi male ci siamo scaraventate a 2200 metri d’altezza su un territorio inospitale e nero come la pece: attorno a noi solo roccia, solo precipizi, solo spine.
Non riesco a decidere se siamo più pazzi o incoscienti o se semplicemente amiamo la vita in ogni sua sfaccettatura.
Sarebbe troppo semplice per me (e per tutti coloro che oggi mi accompagnano) essere la serissima signora Elena che lavora dietro una scrivania cinque giorni su sette, quella che con tono professionale risponde al telefono e compila fatture, quella che il sabato va a fare la spesa e fa i conti per fare quadrare il bilancio domestico.
Sarebbe troppo semplice alzarsi tardi al mattino, in tutta comodità preparare colazione e pranzo senza avere nella testa l’unica cosa che la riempie e l’ubriaca di felicità: la corsa! Sono un’aliena per moltissime delle mie amiche, con le quali ormai non parlo più di corse (anzi, molto spesso ometto di dire d’essere uscita prima dell’alba per allenarmi) perché non sopporto più le loro critiche, le loro paranoie le loro frasi piene di tanti “...ma chi te lo fa fare…”.

Siamo giunti all’11° km quando incontriamo Maurizio Crispi a quota 2200 metri, col suo sorriso nascosto dietro l’obiettivo della sua fedele Canon inizia a scattarci foto su foto, ci vede felici, i nostri volti sono carichi d’emozioni, le nostre gambe si alzano piano nel tentativo di non commettere passi falsi.
La sua presenza è un conforto per tutti noi e ci ricorda che, al di la di questa collina, c’è chi ci aspetta a braccia aperte, chi si sta preoccupando per noi e che tifa affinchè possa riabbracciarci il prima possibile.
Essere qui su ci trascina lontani nel tempo in luoghi inospitali, dove la vita è difficile o forse impossibile, se non per i pochi animali selvatici che vi vivono. Faccio il carico di emozioni e sentimenti positivi e respiro profondamente l’odore della natura che pendetra dentro e fornisce vitalità.

Di tanto in tanto, sento il bip del mio satellitare e capisco che i chilometri stanno trascorrendo.
Ho la percezione d’aver iniziato a correre da pochissimo.
Il tempo passa veloce e questo perché mi sto divertendo come una bimba sulle giostre. E, proprio come una bimba, spalanco gli occhi quando mi rendo conto che sto correndo su un ghiacciaio, più che altro una spessa lastra di ghiaccio alta fino a 3 metri, mimetizzata dalla sabbia vulcanica che è caduta a seguito dell’ultima eruzione: é uno spettacolo bello ed impressionante allo stesso tempo.
La mia meraviglia aumenta ancora di più quando noto un intero gregge di pecore che cerca riparo e refrigerio dietro le rocce vulcaniche.
Che spettacolo meraviglioso, che gioia, che nutrimento per l’anima!
Più d’una volta scivolo sul ghiaccio ed un runner vicino a me allunga la sua mano per fermare la mia discesa. In alcuni punti si è formato un rigoletto d’acqua che scende a valle, mi fermo a sorseggiare e ne approfitto per rinfrescare il viso.

Tiziana e Enzo sono poco dietro di me e, insieme a Salvo, decidiamo di andare avanti cercando di correre dove possibile, perché - anche se ci stiamo divertendo molto - il tempo passa e dobbiamo riuscire a passare del cancello orario (al 25° km) entro le 5 ore. Alziamo le gambe e procediamo svelti, aiutati dalla generosa discesa. Tutto quello che abbiamo visto fin’ora, tutto ciò che ci ha colpiti resterà impresso nelle nostre menti per sempre, non si dimentica facilmente un’esperienza simile.

Constatare i danni - Foto di Maurizio CrispiAl 16° km usciamo dal bosco e iniziamo a calpestare il duro asfalto fino all’agognato ristoro (nei pressi di Piano Provenzana), dove mangio un po di frutta, bevo molto, mi faccio riempire il camelback d’acqua, svuoto le scarpe che si sono riempite di sabbia malgrado le ghette e saluto Ezio, Luca e tutti gli altri amici che stanno facendo il tifo per me Salvo ed Enzo.

Rientriamo nel bosco, ma qui procedo con molta difficoltà perché accuso un brutto dolore sotto il petto: forse, ho bevuto troppo velocemente o, forse, la discesa mi sta disturbando. Inizio a camminare, respirando profondamente e cercando di fare ritornare regolare il mio respiro. Ho il tempo di comunicare a Salvo che non mi sento bene, quando vediamo Enzo (che nel frattempo ci aveva superati e distanziati) fermo, seduto su una roccia, il viso che trasmetteva dolore.
Ha iniziato ad avere dolori ad una gamba, forse crampi, ci fermiamo, e solo dopo aver capito che la situazione è sotto controllo riprendiamo la nostra corsa.
Da questo momento in poi non avrò sue notizie sino all’arrivo.
Intanto il mio dolore persiste, pur facendosi più leggero ma non mi abbandona.
Salvo cerca di spronarmi, affinché io aumenti un po' il passo, ma io lo ammonisco chiedendogli di andare avanti da solo, non riesco a stargli dietro e voglio essere lasciata sola.
Lui mi asseconda e nel giro di pochissimo non lo vedo neppure più.
Adesso sono assolutamente sola, nel bel mezzo del bosco, attraverso il letto d'un ruscello completamente asciutto, le foglie secche rallentano il mio andare, i piedi si alzano a fatica, ho l’impressione di essere sempre ferma allo stesso punto, mentre il tempo –adesso -  scorre molto - troppo - velocemente.
Devo fare molta attenzione a non perdere la strada: prima di allontanarmi da una fascetta che indica la direzione mi assicuro di vedere bene la successiva.
Ad un tratto, presa dallo sconforto chiamo Salvo, ma lui sarà ormai molto lontano.
Faccio di tutto per calmarmi, mi rassicuro e mi ricordo chi sono: “Tu sei SuperElena, quella che non molla mai, quella che va avanti sempre, quella che non ha paura di niente, quella che ride sempre mentre corre, quella che anche stavolta avrà di che raccontare”.
I poveri piedi martoriati... - Foto di Maurizio CrispiImmersa nei miei pensieri positivi mi dimentico della fatica e nel destarmi mi rendo conto che anche il dolore al petto è svanito.
In lontananza vedo tre uomini che camminano, si fermano e si buttano per terra a riposare: passandogli accanto mi chiedono se va tutto bene: “Benissimo!” - rispondo, proseguendo il mio cammino.
Continuo a bere e, ad un certo punto, sento forte il bisogno di urinare, e dopo la necessaria sosta proseguo il mio cammino.
Purtroppo, però, non vedo più le fettucce a strisce e, presa dall'incertezza, mi guardo alle spalle: vedo un runner avanza, mi fermo ad aspettarlo, pensando che forse lui saprà riconoscere la strada giusta.
Insieme saliamo su uno dei crateri a bottoniera che si susseguono in questo versante (i crateri del 2002): e da qui su la vista è bellissima, si vede il mare, lo sguardo si perde all’orizzonte, mi sento in paradiso!
Inizia la discesa, il runner ed io ci separiamo, lui ha i bastoncini che gli rendono meno faticosa la camminata (mi riprometto di acquistarli al più presto).
Al ristoro riconosco uno dei volontari che ci assisteva anche durante la supermaratona dell’Etna, che mi saluta cordialmente, informandomi che mancano ancora due chilometri alla discesa finale. Due chilometri di sola salita, ma questa è una salita amica, perché la conosco e so come affrontarla. Rincuorata, metto in moto le gambe e salgo speditamente, un passo dopo l’altro, spingo bene accompagnata e sostenuta da tutte le mie più grandi motivazioni.
Si affaccia anche lo spirito agonistico e quando in lontananza riconosco Giovanni ed Anna (entrambi molto più forti di me e con i quali di tanto in tanto ho condiviso qualche gara) scatta la molla che mi fa andare più veloce: “Devo raggiungerli” prendo a ripetere tra me e me questa frase come fosse un mantra. E ci riesco, non senza qualche difficoltà, ma nel superarli, li incoraggio: Adesso i miei obiettivi sono tutti gli altri runner che, metro dopo metro, raggiungo e supero, tra i tanti anche il buon amico Maurizio D’Ippolito, in preda a forti dolori.
Ognuno di noi indossa la maschera della fatica, della sofferenza, del disagio, ognuno di noi è la fotografia vivente di quello che sta compiendo: un’impresa estrema !

Sono rimasta senz’acqua da qualche chilometro e mi sento la bocca completamente asciutta, la gola secca, a complicare il tutto ci si mettono anche gli autobus fuoristrada che ci superano per arrivare a quota 3000, alzando una grande quantità di polvere e, ogni volta, sono costretta a voltarmi e coprirmi la bocca ed il naso col fazzoletto.
Ma ormai il grosso è fatto, poco distante da me vedo l’ultimo ristoro, vedo la mia salvezza: potrò rifocillarmi. Bevo una grande quantità d’acqua, di the e mangio mezza banana, ma nel giro di pochi metri ed inizio a stare malissimo, sono costretta a fermarmi, mi appoggio ad una roccia, mi chino in avanti ed inizio a vomitare tutto. “Mi sono fregata con le mie mani - penso - ho bevuto e mangiato con troppa avidità, troppo velocemente per un corpo che è stato e che continua ad essere sottoposto ad uno stress simile".
Mi raggiunge Maurizio e mi consiglia di rilassarmi. Perdo qualche minuto prezioso, sono passate già 5:45 da quando siamo partiti eppure ho l’impressione d’essere in cammino da meno.
Mi rimetto in marcia, qualche centinaio di metri in discesa e poi, alzando gli occhi, vedo davanti a me un muro di lava! “No Questo proprio non ci voleva!”, mi arrabbio ed aiutandomi con le mani, scivolo, inciampo, cado ma alla fine scavalco la montagnola facendomi scappare di bocca una quantità infinita di parolacce….
Sono di nuovo in cima, adesso devo solo scendere. Sento la voce di Aldo Siracusa che parla al microfono dell’arrivo, ormai ci sono.
Sono passate 6 ore esatte.
La discesa è terribile, forse più dura della salita, le scarpe si riempiono sempre di più di sabbia, non riesco a stare dritta a causa della forte pendenza, frenare è quasi impossibile. Scivolo rovinosamente su un lato e poi sull’altro, ho l’impressione di stare sciando e, se non fossi così stanca, mi divertirei moltissimo.
Dopo la discesa, é una pietraia che mette a dura prova le miei ginocchia e le mie caviglie ormai martoriate.
I piloni della funivia mi si parano di fronte uno dopo l’altro, mentre un runner mi sorpassa dicendomi “Ormai ci siamo, è finita, forza!” e arriverà solo 13 secondi prima di me.

Ci sono: ora sono sull’asfalto, alzo le gambe e, di nuovo, sono piena d’energia come prima di partire, incontro mio figlio Luca e prendendogli la mano tagliamo il traguardo tra applausi e grida di gioia. Sono emozionata, felice e soddisfatta: ce l’ho fatta ancora una volta! sono stata forte e coraggiosa! ho attraversato l’inferno ed il paradiso! sono fiera di me e di quello che faccio! sono la 100^ arrivata su 128 e su 169 partiti.
Un buon risultato per una che ha un solo scopo: correre per divertirsi...
“Arrivederci Sua Maesta, vengo a trovarti molto presto e stavolta armata del solo cestino per raccogliere le more!”

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1 agosto 2012 3 01 /08 /agosto /2012 18:57

01 prima della partenzaVincenzo Altamura (M45, della Società Idea Events Marathon Siracusa) ha preso parte lo scorso 17 giugno 2012 alla 6^ edizione della Supermaratona dell'Etna. E' stata per lui - già finisher dell'edizione 2008 - una dura esperienza, poiché per la prima volta - dopo otto anni di podismo amatoriale - ha dovuto ritirarsi, per motivi solo in parte legati alla sua volontà e in gran parte connessi alle "ristrettezze" del tempo massimo concesso per il completamento della distanza e ad un'applicazione rigida di tale tempo da parte degli organizzatori.
Ecco di seguito il suo racconto

(Vincenzo Altamura) Non mi era ancora capitato in otto anni di running amatoriale di ritirarmi durante una gara. Purtroppo c’é sempre una prima volta e questa finisce con il diventare un ritiro amarissimo, soprattutto se ti viene imposto dagli organizzatori.
Subentra un senso di ribellione. Ma dopo, con i piedi per terra, accetti consapevolmente l’azione.
Avevo deciso di non scrivere i miei pensieri su questa dura salitona, ma - a distanza di 40 giorni dall’evento - ho dovuto cambiare opinione.
Evento. La Supermaratona dell'Etna è davvero  un grande evento.
Perchè ci si confronto, come dice Elena Cifali, ci si confronta Sua Maestà l’Etna. Ogni gara, di qualunque distanza, ha un suo fascino.
La Supermaratona dell’Etna sulla distanza di di 43,150 km e con i suoi 3000 metri di D+ è probabilmente in Italia la massima espressione di difficoltà e sforzo sovrumano richiesto.
La si rappresenta meglio se viene descritta con una carrellata sui volti sconvolti di tutti i runner in arrivo al traguardo.
Poi, gli ultimi hanno un doppio sguardo, che è assieme di sofferenza e gioia.
Non si capisce bene quale dei due stati d'animo prevalga, ma di certo vige il motto “E' finita”.
Ma veniamo a noi.
04 prima della partenzaAvevo programmato di correre questa nuova esperienza da questo inverno, ed era in lista subito dopo la 100 km del Passatore. Ho coinvolto il dott. Di Stefano Corrado, reduce della 24 ore del Sole e con mia gradita sorpresa ha accettato. Per l’etna non basta aver tanto fiato o tanti lunghi ma ho sempre creduto che ci vuole pochissima testa ma tanta e dico tanta forza nella spinta delle gambe.
Inoltre l’esperienza del 2008 mi ha obbligato a prevenire con opportuni accorgimenti  i crampi sempre in agguato.
E’ sabato, arriviamo a Marina di Cottone (CT)  di buon’ora.
La giornata è già calda e non vedo nulla di promettente.
Via via arrivano i runner e li trovo ben equipaggiati e atleticamente in forma, tutti scalpitanti con l’ascia di guerra.
Forse parto già sconfitto?
Vedremo.
Ritrovo vecchi amici, tra i quali l’onnipresente Santo Monaco e la mitica Elena, pronta a immatricolare l’evento a modo suo.
Arriva Calcaterra e già l’aria si surriscalda.
Siamo tutti pronti sulla sabbia, un minuto di silenzio e finalmente lo sparo.
Via! Non c’e’ la calca e assieme ai pochi altri che chiudono la fila, evitiamo di far entrare sabbia nelle scarpe.
Altro che corsa! Sembra una sfilata di moda...
Parto piano senza forzare e, inevitabilmente, si forma - accanto a me - un gruppetto di sostenitori del risparmio energetico.
Per andatura e scambio di opinioni sembra di correre un’ultra di 100 km.
Primissime salite poco impegnative e si arriva al paese di Piedimonte Etneo.
Tutti ci aspettano e lo speakeraggio fatto dal Sindaco ci stordisce.
L’aria calda inizia ad aumentare e meno male che le fontane siano presenti lungo il percorso. 
05 partitiSpuntano anche punti acqua estemporanei con manicotti o tubi di gomma: una vera e propria panacea per addolcire le nostre sudate e attenuare quelle venture.
Oltrepassiamo il paese e ci ritroviamo in prossimità dell’autostrada.
Da quel punto in poi si incomincia a salire per Linguaglossa e l’Etna prende a dettare con autorevolezza i suoi tempi.
In salita incrocio un runner che mi è familiare e ci presentiamo.
E’ proprio lui l’Ultra Sciarratta.
Strano luogo di incontro, ma si tratta di un incontro che è, comunque, nella norma perché dicono che tutti i corridori sono dei matti. 
Lo lascio andare: si vede bene che è piu’ in forma di me e affronta la salita come un ventenne.
Le ultime salite e, finalmente, il paese.
Si percorre un buon rettilineo e si passa davanti al traguardo volante.
Senza essercene resi conto siamo già al km 15. 
Stessa scenografia del 2008.
Ci salutano in tanti, presenti sul marciapiede.
Ritrovo anche il "tunnel della felicità" con un gettito continuo di acqua rinfrescante. Preferisco non bagnarmi e mi allontano. 
All’uscita del paese trovo un ristoro sul lato destro della strada.
Non mi fermo, ma questa mia decisione si rivelerà un errore grave.
Inizia quindi la lunga salita che ci porterà al km 33 al Rifugio Provenzano.
L’andamento è piano e costante, ma il caldo risulta ora insopportabile.
Mi sorpassa 
Salvatore Crudo, amico di corsa di Elena Cifali, che mi chiede se è tutto a posto.
Rispondo di sì al momento.
Si va avanti, ma avverto che qualcosa non va.
Sono sprovvisto di cappello e di una maglietta a manica corta.
Con la canotta e senza crema Il sole inizia a farmi bruciare la pelle delle parti scoperte e, inevitabilmente, mi ritroverò con ustioni di primo grado.
Errore imperdonabile non aver pensato a degli accorgimenti appropriati. Bocciato.
Pru avendo con me una bottiglietta di acqua per le bevute estemporanee, al km 21 circa  mi blocco, sentendomi spossato, con le gambe inchiodate sull’asfalto e le mosche tutt’intorno che fanno festa.
Lì per lì, ho pensato di ritirarmi, rendendomi conto di non avere più energie e soprattutto concentrazione.
Rimpiango il ristoro precedente che ho snobbato.
Intanto, gli ultra non desistono mai e - come al solito - si cerca di ripartire.
In tanti mi sorpassano e non riesco a stare al  loro passo.
Perdo molto tempo,  ma  sono fiducioso di potercela fare.
Insistendo, riesco ad arrivare al km 25 circa  dove é presente  il famosissimo ristoro del Rifugio Ragabo.
Il tempo di mangiare qualcosa ed ecco che mi rianimo e tornano le forze,  sicché mi sento pronto a continuare.
Nel frattempo mi raggiunge l’amico Di Stefano che è stupito nel vedermi.
Gli spiego la situazione e mi  invita a seguirlo. L'ho esortato ad andare avanti senza fermarsi e che ci saremmo rivisti al Rifugio Provenzano.
Riparto, consapevole di arrivare fino in fondo.
Sono al km 27 circa e si ferma un camioncino della forestale. ne esce un operatore e con mio grande stupore rimuove il cartello distanziometrico e prosegue la corsa piu’ avanti per ritirare il successivo.
Supermaratona Etna partenza con Elena CifaliNon ci posso credere! Se l’ha fatto, ciò significa forse che sono l’ultimo?
No non è così: ci sono altri che mi raggiungono.
Allora non capisco tutta questa fretta.
Gli ultimi chilometri prima dell’arrivo al km 33 sono molto tosti, ma li supero senza problemi.
Anche qua, un lungo rettilineo prima del rilevamento intermedio.
Provo a  passare ma mi bloccano: “Fuori tempo! - mi dicono - Secondo il regolamento lei è oltre il tempo consentito e quindi non puo’ salire”.  
Accetto il verdetto, mentre altri runner incominciano a surriscaldarsi, perché ritengono che non sia giusto, che il regolamento dava 6 ore come tempo massimo, senza peraltro parlare di "porte cronometriche".
Tutti erano innervositi e anche il giudice.
Io no. Faccio dietro front e vado verso la tenda cambio abiti  che, stranamente, era posizionata 100 metri prima dell’intermedio. Arriva in quel momento anche il Di Stefano pronto per salire (si era nel frattempo cambiato), ma l’amara sorpresa  gli lascia un senso di dispiacere.
Senza alcun dubbio se ci avessero lasciati andare avremmo avuto qualche possibilità di concludere in tempo perché noi “ultra” stranamente, dopo un momento di pausa, ricominciamo a correre da zero come se non avessimo affatto corso e faticato fino a quel momento. 
Le fantastiche ciliegie e le pesche dell’Etna ci hanno addolcito la bocca.
Il ristoro è stato gradevolissimo.
Prima di ritornare a valle con il pullman ho avuto il piacere di rivedere e salutare il Big Calcaterra. Mi è sembrato  che si volesse  scusare per aver chiuso in 2° posizione dando colpa alla società aerea Wing Jet che gli ha tolto ore di sonno.
La realtà è diversa.
L’Etna - Sua Maestà - non perdona.  
Concludo dicendo che è stata una bellissima gara di forza, da rifare il prossimo anno, ma con qualche allenamento specifico per la salita, visto che a Siracusa esistono  solo strade pianeggianti.
Di Stefano, caro amico tapascione di corsa, è sempre fiducioso per il prossimo anno e sin da adesso si propone di ritentare la scalata, perché non capita tutti i giorni di  essere premiati con una bellissima medaglia  a 3000 m. di quota.
Una cosa davvero unica nel suo genere.

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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Statistiche generali del magazine dalla sua creazione, aggiornate al 14.04.2014

Data di creazione 12/04/2011
Pagine viste : 607 982 (totale)
Visitatori unici 380 449
Giornata record 14/04/2014 (3 098 Pagine viste)
Mese record 09/2011 (32 745 Pagine viste)
Precedente giornata record 22/04/2012 con 2847 pagine viste
Record visitatori unici in un giorno 14/04/2014 (2695 vis. unici)
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Lara arrivo pisa marathon 2012  arrivo attilio siracusa 2012
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